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Napoli Est, la bomba sotto il Vesuvio

di Francesca Saturnino

Vista dall’alto di Napoli Est.Qualche giorno fa, tornando da Portici e percorrendo la strada interna (quella che passa per corso San Giovanni a Teduccio), un amico propone di vedere qualcosa che ci avrebbe lasciato di stucco. Incuriositi, accettiamo e,dopo aver superato il Ponte dei Francesi e aver imboccato una via laterale del Corso, piuttosto malconcia e piena di fosse, ci addentriamo nel buio verso in direzione del mare. Anche se il mare, da qualsiasi lato dell’intera zona di Napoli Est, non si vede praticamente più. Al suo posto si presenta uno strano spettacolo urbano-spaziale: una centrale a turbogas. E’ una costruzione enorme, dalle sue fauci fuoriescono senza sosta boccate di fumo grigio-bianco, si sente il rumore frastornante della sua attività senza neanche dover abbassare i finestrini dell’auto. Tutto attorno c’è desolazione e cumuli di spazzatura, mentre a neanche cento metri ci sono case, condomini e palazzi che affacciano su questo devastante panorama che caratterizza la zona di “Napoli Est”. Napoli Est è un’area delle aree a maggiore densità abitativa di Napoli, che comprende San Giovanni a Teduccio, Barra, Ponticelli e si estende fino a via Marina, a due passi dal cuore di Napoli. Tutta la zona è uno dei maggiori poli industriali della città partenopea.
Fu Francesco Saverio Nitti all’inizio del novecento che ebbe l’idea di creare due zone industriali a Napoli, divise in Zona Est e Zona Ovest (quartiere di Bagnoli), un’idea che costituì una rinascita economica per la città; ma oggi, che ha definitivamente esaurito la sua funzione, è abbandonata a sé stessa, e magari sarebbe opportuno recuperarle per restituirle ai cittadini, trattandosi, tra l’altro, di zone costiere bellissime. Ma se per Bagnoli la strada è stata almeno imboccata, per Napoli Est la situazione è in alto mare. Questa zona ha ospitato negli anni molti complessi industriali: nel 1925 fu inaugurata la centrale elettrica “Maurizio Capuano”, nel 1953 quella di Vigilena (che prende il nome dal forte di Vigliena, teatro di uno degli episodi più noti dell’avventurosa Repubblica Partenopea del 1799 e che ora versa in condizioni di totale abbandono); in seguito, con l’acquisto degli impianti da parte dell’Enel, si completò il previsto potenziamento della centrale di Napoli-Levante accanto con la realizzazione di un terzo impianto accanto ai due già esistenti.Ai giorni nostri, secondo il piano regolatore di Napoli del 1996, la fascia litoranea del quartiere di San Giovanni doveva essere riqualificata “con la costituzione di un sistema di attrezzature di livello urbano e territoriale oltre che a un servizio nell’intero quartiere ,il recupero del rapporto tra quartiere e il mare”.
Nel 1999, però, l’Enel fu costretta a vendere alcune centrali a privati (per il decreto Bersani) e la centrale termoelettrica di Napoli-Levante, pur essendo destinata alla dismissione secondo il piano regolatore del 1996, fu inserita tra quelle da vendere. Si passò così da un piano di riqualificazione ad uno di re-industrializzazione: la Tirreno Power s.p.a., ditta che prese in gestione l’impianto con lo scopo di rinnovarlo (in casi del genere non ci vuole la Valutazione di Impatto Ambientale), ne costruì uno nuovo: è questo nuovo impianto il mostro che che si vede oggi e che, ancora in fase di collaudo, produce già una quantità enorme di inquinamento atmosferico ed acustico.
Ma il problema di questa zona, a ridosso del centro storico di Napoli, non si riduce solo a questo. Oltre alla centrale a turbogas (che tra le altre cose esprime una scelta dettata da chiari scopi di lucro, visto che l’energia prodotta con il gas naturale è, in assoluto, tra le meno convenienti tra le energie non rinnovabili, tanto da far dire a Giuliano Amato che “è come accendersi la sigaretta con biglietti da cento dollari”), Napoli Est ospita anche altri “mostri”: la “Darsena Petroli” (anche’essa destinata, in origine, allo smantellamento ma prorogata per altri vent’anni), molo di attracco di navi contenenti gas e petrolio, che poi viene smistato tramite l’oleodotto di Barra. Nei prossimi mesi sarà costruita anche la nuova “Darsena di Levante”, ennesima colata di cemento a mare, destinata a fare da scarico per le più grandi navi da container del mondo, lunghe 400 metri e attualmente in costruzione in Cina: questo significa un aumento del 300% dei containers che il porto di Napoli ospiterà, con un logico incremento dei trasporti su tir della merce contenuta dai containers e un aumento dell’inquinamento e del traffico (già di per sé congestionato) della zona portuale di Napoli.
Se ciò non bastasse, pensare che la zona di Napoli Est è inquadrata nella cosìdetta “zona gialla”, ossia la zona che potrebbe essere interessata dalla ricaduta di particelle piroclastiche (ceneri e lapilli) in caso di eruzione del Vesuvio. Vale a dire che la serie di impianti sopra elencati potrebbero innescare una sorta di reazione a catena, le cui conseguenze sarebbero disastrose. In passato, era il 21 ottobre del 1985, la zona orientale di Napoli fu teatro di un gravissimo incidente: l’esplosione di venticinque dei quarantuno serbatoi costieri dell’Agip e uno spaventoso incendio spento solo dopo sei giorni, e che generò una nube di fumo alta più di mezzo chilometro. In quell’occasione, pur essendoci stati 5 morti, 165 feriti, 2594 senzatetto e 100 miliardi di lire (dell’epoca) in danni, solo un miracolo evitò conseguenze ancora più gravi per le famiglie residenti nelle molte abitazioni civili locate praticamente all’interno della zona industriale.
Senza dimenticare che l’intera zona orientale era stata dichiarata zona “ad alto rischio ambientale” dalla legge 426/1998 sugli interventi di bonifica e ripristino ambientale dei siti più inquinati d’Italia e che negli ultimi decenni in questa stessa zona si è registrato un incremento molto rilevante del tasso tumorale, specialmente alle vie respiratorie.
La zona di Napoli Est sembra insomma una sorta di vera e propria “bomba sotto al vulcano”, di cui si finge di ignorare l’esistenza ma che non dista molto da noi, dalle nostre case, dalla nostra vita quotidiana. Guardando la zona e riflettendo, si deve pensare a come, nella storia, l’ambiente viene sempre “sacrificato” agli interessi economici, e come un sacrificio del genere toglie alle persone anche il diritto alla salute, all’ambiente o semplicemente quello di fare una passeggiata in riva al mare. Un’amara verità che Anna Maria Ortese, nel 1953, ebbe modo di riscontrare: “il mare [ancora oggi] non bagna Napoli”, e non solo in senso metaforico.