Rinnovabili • Bufale sul clima: la disinformazione prolifera su Facebook

Facebook alimenta ancora le bufale sul clima

Un esperimento di Global Witness mette a nudo tutte le falle dell’algoritmo del social network. Zuckerberg ha promesso 18 mesi fa di bloccare la disinformazione climatica, ma il risultato è l’esatto opposto

Bufale sul clima: la disinformazione prolifera su Facebook
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Nella bolla di “Jane” entrano solo bufale sul clima e greenwashing

(Rinnovabili.it) – Nonostante la promessa di cambiar rotta, l’algoritmo di Facebook propone ancora agli utenti informazioni false o fuori contesto sul cambiamento climatico e il riscaldamento globale. In modo sistematico. Basta iniziare con un like su una pagina che posta bufale sul clima e il social network inizia subito a costruire attorno all’utente una bolla fatta di disinformazione, false soluzioni alla crisi climatica e – nel migliore dei casi – greenwashing.

Facebook promette

Due anni fa la compagnia di Mark Zuckerberg ha iniziato a muovere i primi passi per combattere la disinformazione sul clima. A settembre 2020 ha visto la luce il Climate Science Information Center, una pagina a cui lavorano esperti di comunicazione climatica provenienti dalla George Mason University, dallo Yale Program on Climate Change Communication e dall’Università di Cambridge. L’idea è di reindirizzare gli utenti verso questo centro quando bazzicano troppo gli ambienti dove prosperano le bufale sul clima. Il centro offre informazione di qualità e affidabile sul climate change.

Ha funzionato? Per niente. Un rapporto di Real Facebook Oversight Board e Stop Funding Heat ha testato il sistema lo scorso novembre. A più di un anno di distanza, il centro di Facebook faceva il suo dovere solo sul 3% dei contenuti classificabili come informazioni fuorvianti (misinformation) sul clima. Nel frattempo, le interazioni su gruppi e pagine che negano l’apporto antropico al climate change sono cresciute del 75% in un anno.

Global Witness a caccia di bufale sul clima

A distanza di altri 6 mesi, nulla sembra davvero cambiato. A svelare le beghe di Facebook con le bufale sul clima stavolta è Jane, una creazione di Global Witness. L’ong ha creato un profilo di un’utente fittizia, costruendolo ex novo per valutare la risposta dell’algoritmo del social network a poche, significative azioni di Jane. Tutto inizia con un like a Global Warming Policy Forum, una pagina con 14mila follower legata, tra gli altri, a un deputato inglese negazionista, molto attiva nel contestare le politiche per la neutralità climatica.

Basta questo semplice click per trascinare Jane sempre più a fondo nella tana del Bianconiglio. Il primo suggerimento di Facebook? Dare un’occhiata a Climate Depot, noto sito che rilancia bufale sul clima. E via così. Risultato? “Delle 18 pagine raccomandate a Jane, solo una non conteneva disinformazione sul clima. 12 di esse includevano solo disinformazione sul clima. Dei contenuti che abbiamo analizzato, solo il 22% dei post di disinformazione sul clima” era segnalato come fake dal Climate Science Information Center.

Per catalogare il tipo di pagine su cui Facebook ha fatto atterrare Jane, Global Witness ha costruito una griglia interpretativa, basata sulle ricerche più recenti sulla climate disinformation, divisa in 9 categorie a seconda del tipo di contenuto proposto. Si va da contenuti in tutto e per tutto negazionisti, che affermano che il climate change non è reale o che non è dovuto all’uomo, a contenuti che rispondono alla strategia “distract and delay” (distrai gli utenti e ritarda l’azione climatica) e gettano discredito sull’ambientalismo, fino a materiale di greenwashing più tradizionale.  

“La nostra indagine indica che gli utenti scettici del clima non solo sono diretti verso più disinformazione che afferma le loro convinzioni”, spiega Global Witness. Spesso il nostro utente è stato indirizzato verso informazioni peggiori: partendo da una pagina “piena di narrative distract and delay”, si finisce su pagine che rilanciano le peggiori teorie cospirative e bufale sul clima.

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