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Inaugurato a Roma un bio-orto sul tetto della FAO

Nella sede romana della FAO è stato inaugurato un bio-orto urbano sul tetto. Un laboratorio agro-ecologico per capire se sia possibile replicare i giardini pensili biologici dove il suolo è scarso o poco produttivo e ridurre la carenza di cibo che affligge i sistemi più fragili come le aree urbane o quelle d’alta quota

bio-orto sul tetto

(Rinnovabili.it) – Un vero e proprio laboratorio agro-ecologico. Sul tetto della FAO, a Roma, è stato inaugurato un bio-orto urbano alla presenza del direttore generale della FAO, Qu Dongyu, e del vicedirettore Maurizio Martina.

Il sistema è replicabile anche in alta quota?

Il bio-orto della FAO ha un obiettivo che guarda lontano: l’idea che guida il progetto è di capire se sia possibile replicare i giardini pensili biologici dove il suolo è scarso o poco produttivo e in questo modo ridurre la carenza di cibo che affligge i sistemi più fragili come le aree urbane o quelle d’alta quota. Una possibile risposta al cambiamento climatico e alla crisi alimentare che colpisce nel mondo tre miliardi di persone che soffrono la fame o la malnutrizione.

Nel bio-orto sulla terrazza della FAO sono presenti antiche varietà biologiche. Si tratta di un orto modulare innovativo realizzato di NaturaSì con l’Università Sapienza – Orto Botanico di Roma, la startup Ecobubble e Slow Food, membri della Mountain Partnership, l’alleanza delle Nazioni Unite che si occupa della salvaguardia delle aree montane e della protezione delle popolazioni che le abitano.

Un bio-orto urbano realizzato con tecnologia italiana

Ecobubble ha progettato il bio-orto, interamente realizzato con tecnologia italiana. Il sistema si basa sull’osservazione informatizzata dello stato di salute della pianta e sulla rilevazione del contenuto di acqua presente nel terreno, in modo di garantire alle coltivazioni la giusta fornitura di acqua.

Le coltivazioni saranno ospitate all’interno di contenitori mobili a forma triangolare che potranno essere disposti in diverse configurazioni. I moduli sono dotati di meccanismi per il drenaggio dell’acqua per evitare danni arrecati da precipitazioni troppo abbondanti.

Le piante provengono dalla Fondazione Seminare il Futuro di cui fa parte NaturaSì. La Fondazione seleziona varietà per l’agricoltura biologica con l’obiettivo di ostacolare l’impoverimento della biodiversità agricola soprattutto dove sia necessario coltivare specie in grado di resistere al cambiamento climatico.

Fausto Jori, amministratore delegato di NaturaSì, spiega l’obiettivo del progetto bio-orto: «Abbiamo unito la volontà, la determinazione e la competenza di soggetti che da anni si adoperano per garantire il diritto di tutte le popolazioni di vivere in un ambiente sano, grazie anche a sistemi agroalimentari più efficienti, inclusivi, resilienti e sostenibili. Il bio-orto vuole essere un esempio, un’esperienza replicabile in altre realtà per promuovere un’agricoltura capace di dare ossigeno e cibo sano anche in contesti urbani dove il suolo è scarso, contesti a cui l’agroecologia può contribuire anche donando bellezza».

Mantenimento della biodiversità e sicurezza alimentare

La FAO, ovviamente attenta ai problemi delle aree più disagiate dal punto di vista agroalimentare, guarda con grande interesse all’esperimento del bio-orto perché potrebbe allentare la morsa della povertà e della carenza di cibo in quelle regioni dove i terreni agricoli stanno diventando meno produttivi o addirittura scompaiono; nelle aree più densamente popolate, invece, il bio-orto potrebbe ridurre la pressione dei sistemi alimentari sull’ambiente.

Come ha dichiarato Giorgio Grussu, funzionario della FAO e coordinatore del progetto Mountain Partnership Products finanziato dall’Italia, «preservare la biodiversità agricola è vitale per la sicurezza alimentare, poiché aumenta le nostre possibilità di coltivare specie in grado di far fronte ai cambiamenti climatici e ad altri fattori di stress come quello idrico».

Promuovere ricerca e innovazione

I dati della FAO sono allarmanti: negli ultimi cento anni è scomparso il 75% delle specie impiegate in agricoltura. Una perdita di biodiversità causata dalla coltivazione di poche varietà vegetali su aree sempre più estese. «Ormai il 60% dei semi venduti nel mondo proviene da quattro grandi aziende e si tratta di semi che non soddisfano le necessità del biologico, che ha bisogno di varietà legate alle caratteristiche delle aree di produzione, oppure selezionate per una pratica agroecologica in grado di svilupparsi con una buona resa in campi dove la chimica di sintesi non viene impiegata», sottolinea Jori.

In questo contesto globale, è sempre più importante promuovere la ricerca per selezionare semi di varietà in grado di adattarsi alla crisi climatica: così se da un lato si preserva la biodiversità, dall’altro gli agricoltori possono riprodurre da soli le sementi di cui hanno bisogno.

I dati del bio-orto saranno monitorati dal dipartimento di Biologia ambientale dell’Università Sapienza di Roma con l’obiettivo di sperimentare nuove tecnologie applicate alla nutrizione e all’irrigazione delle piante.

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