Il patto di Glasgow ha solo 3 giorni di vita ma c’è già chi annuncia che non lo rispetterà. In ballo la richiesta di presentare già entro il prossimo anno degli obiettivi nazionali con orizzonte 2030 rafforzati
Australia e Nuova Zelanda i primi ribelli contro obiettivi sul clima più ambiziosi
(Rinnovabili.it) – Alla COP26 di Glasgow i negoziatori hanno passato buona parte del loro tempo a limare parola per parola i passaggi più delicati. Perché mai come nei grandi trattati internazionali il diavolo – e anche la buona riuscita di una trattativa – si nasconde nei dettagli. Il problema è che a volte le concessioni, anche se minime, possono avere conseguenze di portata molto vasta. È quello che sta succedendo con la richiesta – che non è un obbligo – a rafforzare gli obiettivi sul clima entro il 2022.
A tre giorni dalla firma del Patto sul clima di Glasgow, l’Australia e la Nuova Zelanda fanno sapere di non avere alcuna intenzione di presentare dei contributi nazionali volontari (NDC) aggiornati prima della COP27 dell’anno prossimo. Gli obiettivi climatici dell’Australia per il 2030 “sono fissi e siamo impegnati a raggiungerli e superarli, come abbiamo fatto con i nostri obiettivi dell’era del protocollo di Kyoto”, ha dichiarato il governo australiano guidato da Scott Morrison. Sì, il patto “incoraggia” i paesi a rivedere i loro obiettivi sul clima, “ma questo non significa che si è obbligati”, fa eco il ministro neozelandese per il clima James Shaw. E dà un’interpretazione diversa del passaggio dell’accordo: è rivolto solo ai grandi emettitori che non hanno presentato nuovi NDC.
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Le cose non stanno esattamente così. Ma è difficile dimostrarlo. Al punto 29 del documento del CMA, il patto sul clima di Glasgow “richiede [requests] alle Parti di rivedere e rafforzare gli obiettivi al 2030 nei loro contributi nazionali volontari entro la fine del 2022 di quanto è necessario per allinearli con l’obiettivo di temperatura dell’Accordo di Parigi, tenendo in considerazione le diverse circostanze nazionali”.
“Richiede” è un verbo molto forte per la diplomazia. Indica un alto livello di obbligo. E “rivedere” è accompagnato da “rafforzare”, il che sgombra ogni dubbio. Il problema sono i distinguo del resto dell’articolo. Di quanto vanno rafforzati, gli obiettivi sul clima? Devono essere compatibili con una traiettoria verso i 2°C, come minimo. Ma il testo non dà altri riferimenti. Altrove dice che serve almeno un -45% entro il 2030 sui livelli del 2010 (a livello globale) per essere in linea con gli 1,5 gradi. Quindi basterebbe un impegno più blando, ma quanto più blando è lasciato all’interpretazione. Tanto che l’Australia si può permettere di dire che i suoi target sono già allineati con Parigi, e che comunque il paese li supererà. Questo è un esempio del perché non si può dire che il patto di Glasgow obblighi i paesi a puntare verso gli 1,5 gradi: al massimo, lo chiede con gentilezza.
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E poi ci sono le “diverse circostanze nazionali”. Clausola fumosa: serve per garantire proporzionalità, ma può essere stiracchiata e usata come alibi per non agire. È probabilmente a questo passaggio che si appiglia la Nuova Zelanda per chiamarsi fuori dalla “richiesta” di rafforzare i suoi impegni sul clima. A poco servono le stime indipendenti, anche quelle molto autorevoli come le analisi di Climate Action Tracker, che certificano che questi due paesi sono completamente fuori strada. L’Australia addirittura è su una traiettoria di +4 gradi di riscaldamento globale e la Nuova Zelanda ha un target al 2030 giudicato “altamente insufficiente”. Le vie di fuga disseminate nel patto di Glasgow le aggirano senza problemi. (lm)