Secondo Boschi dell’Ingv: si concretizza il rischio collasso per la calotta antartica con +3°C delle temperature medie globali. Lo rivelano i sedimenti profondi prelevati sotto i ghiacci del Mare di Ross. Anche tre italiani nel team di ricercatori.
Da studi effettuati al di sotto della piattaforma di ghiaccio galleggiante del Mare di Ross (Ross Ice Shelf), in Antartide e in seguito dalla ricostruzione di eventi del passato, invece che da modelli matematici che si propongono di disegnare probabili scenari futuri, è emerso che se la temperatura media del nostro Pianeta dovesse continuare ad aumentare a ritmo costante toccando i tre gradi, il rischio che la calotta antartica occidentale collassi è sempre più probabile e vicino. Lo studio, pubblicato sulla rivista ‘Nature’, si basa sull’analisi di carotaggi eseguiti sulla piattaforma da un team di ricercatori del progetto Andrill, Antarctic Geological Drilling, ha condotto a importanti scoperte relative all’arco di tempo compreso fra i 5 e 3 milioni di anni fa, quando la temperatura media del Pianeta e il contenuto di CO2 in atmosfera erano più alte rispetto alle odierne condizioni. Si è potuta affermare quindi la dinamicità della calotta polare che è periodicamente collassata e le cui fluttuazioni sono avvenute seguendo la periodicità delle variazione ciclica dell’inclinazione dell’asse terrestre. L’importanza dei dati raccolti, come sottolinea Enzo Boschi, Presidente dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, è notevole, in quanto grazie a questo studio sarà possibile comprendere la dinamica delle antiche calotte polari e del ghiaccio marino stagionale definendo uno scenario più realistico su quanto potrebbe accadere in futuro se le concentrazioni di gas serra emessi in atmosfera dovessero continuare ad aumentare in maniera incontrollata, nonché sarà verificare i modelli matematici sull’evoluzione del clima a scala planetaria.
Nel lanciare l’allarme sugli effetti del surriscaldamento globale ai poli, Boschi ricorda quanto è accaduto a febbraio del 2002 alla piattaforma di ghiaccio del Larsen B, nella Penisola Antartica, che era caratterizzata da un’estensione di 3.205 km quadrati e uno spessore di 220 metri ma che si è disintegrata nell’arco di un mese. All’interno del team di ricercatori anche tre italiani: Fabio Florindo in qualità di coordinatore, Massimo Pompilio e Leonardo Sgnotti dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia.