Il vertice di Glasgow non può e non deve chiudersi con una semplice ripetizione di impegni già annunciati. Oggi servono sforzi e iniziative concreti per raggiungere le emissioni nette zero, insieme ad un preciso calendario di riferimento
di Angelo Riccaboni
(Rinnovabili.it) – Secondo le Nazioni Unite, per contenere l’aumento della temperatura globale a 1,5 gradi occorre portare le emissioni di gas serra a 25 miliardi di tonnellate entro il 2030, 28 miliardi in meno del valore verso cui ci stiamo dirigendo. Gli impegni attuali, tuttavia, prevedono una riduzione pari soltanto a 4 miliardi di tonnellate.
Su questi numeri si gioca il futuro della lotta alla crisi climatica e le sorti della COP26.
Al G20 Mario Draghi ha ricordato che ‘andare da soli sui temi del cambiamento climatico non è un’opzione percorribile. Il multilateralismo è la soluzione migliore per rispondere ai problemi che incontriamo oggi. In molti casi è l’unica risposta possibile’. Solo con la partecipazione di tutti i Paesi si può attuare l’Agenda 2030 e rispettare gli Accordi di Parigi. Per questo motivo, è stata importante la condivisione, nell’ambito della Dichiarazione finale del G20, dell’impegno a mantenere l’aumento della temperatura media ben al di sotto di 2 gradi e di porre sforzi nel limitarlo a 1,5 gradi, anche da parte di Paesi che finora avevano fornito poco supporto.
Molteplici sondaggi, peraltro, evidenziano che il passaggio all’azione da parte dei nostri governanti è diventata un’esigenza sentita dai cittadini di tutto il mondo e di tutte le età. Due terzi degli 1,2 milioni di intervistati in 50 Paesi dallo UN Development Programme (UNDP) ha evidenziato, pochi mesi fa, che il cambiamento climatico è un’emergenza globale, fornendo un esplicito mandato ai loro rappresentanti politici di assumere azioni in grado di fronteggiare la crisi, considerando come politiche maggiormente efficaci la riforestazione, la diffusione delle energie rinnovabili e l’agricoltura sostenibile.
Per affrontare le sfide della crisi climatica, l’innovazione tecnologica fornirà un contributo decisivo. Non è un caso che la parola innovazione sia stata citata 10 volte nel Comunicato di Roma e le tecnologie 16 volte. Anche nel caso dei ricercatori e degli innovatori, l’impatto sarà più elevato se i Paesi aumenteranno la loro capacità di lavorare insieme, condividendo progetti, laboratori e risorse.
Le questioni esistenti, dunque, sono gravi, i cittadini di tutto il mondo sono consapevoli della necessità di fornire risposte concrete, lo sviluppo tecnologico è promettente, eppure non riusciamo a prendere la direzione e la velocità di cambiamento necessarie. E’ ormai sempre più chiaro che la ragione di tale ritardo risiede nelle incertezze in merito agli effetti sociali delle azioni indispensabili e nell’inadeguatezza degli investimenti finora attuati nelle soluzioni digitali, tecnologiche, logistiche, edilizie utili al cambiamento. Sul tema delle risorse, va visto come un prezioso avanzamento la crescente consapevolezza che il costo dell’inazione sia diventato ormai superiore al valore degli investimenti da fare. Altrettanto importante appare l’avvenuto superamento, ormai, da parte delle istituzioni internazionali e dei governi che le guidano, di un approccio politico e culturale contrario ad interventi dello Stato nella società, fondato sulla necessità di rispettare stringenti vincoli nei bilanci pubblici. Vanno nella direzione giusta anche gli impegni assunti al recente G20 in termini di aiuti ai Paesi più poveri e vulnerabili.
I governi sono frenati, in altri termini, dalla tensione fra la vicinanza temporale degli effetti sociali temuti in conseguenza delle politiche di sostenibilità e la lontananza delle conseguenze positive di tali azioni e degli scenari 2030 e 2050. Un decisivo contributo a superare tale dirimente questione è fornito dalla protesta delle generazioni più giovani e dalla loro presenza nel dibattito globale, per fortuna sempre più incalzanti.
Un altro fattore di cambiamento è rappresentato dalle imprese e dal settore finanziario, che appaiono sempre più impegnati sui temi della sostenibilità. Questo avviene non solo per motivi etici ma anche per le crescenti opportunità di competitività e mercato connesse a tali argomenti. Perché le iniziative aziendali e finanziarie non siano meramente formali, occorre però che nei consumatori si consolidi ulteriormente la consapevolezza di quanto i comportamenti di acquisto responsabili siano determinanti per influenzare le politiche delle aziende. Le imprese e la finanza, inoltre, devono essere chiamate a più precisi e rigorosi meccanismi di responsabilizzazione e reporting sui temi ambientali e sociali. I riferimenti espliciti al tema del contributo del settore privato fatti a Roma da parte del Principe Carlo e di Boris Johnson fanno intendere che la Gran Bretagna intenda valorizzare tale fattore di cambiamento, anche per promuovere un sistema aziendale, quello britannico, che, per dimensioni delle imprese e capacità di cogliere il cambiamento, appare più strutturato e pronto a sfruttare le nuove occasioni di mercato rispetto ad altri che, come il nostro, è caratterizzato da imprese di dimensioni minori.
Le prossime due settimane, dunque, non possono e non devono essere una mera ripetizione di impegni già annunciati. Se, come ricorda il premier britannico, siamo a un minuto dalla mezzanotte, ci attendiamo che l’urgenza del momento porti i governi e i rappresentanti del settore privato alla definizione di azioni tali da rallentare concretamente il ticchettio dell’orologio.
Essere riusciti, a Roma, a condividere il metodo da seguire, rappresentato dalla collaborazione fra tutti i Paesi, è stato un ottimo risultato. Ora ci si aspettano sforzi e iniziative concreti per raggiungere le emissioni nette zero, insieme, quanto prima, alla definizione di date di riferimento più precise (ad ora solo una dozzina di Paesi si sono formalmente impegnati per il 2050) e all’individuazione di obiettivi per il 2030, anno per il quale è auspicata una riduzione di almeno il 50%, come ha promesso l’Europa.
Sarà interessante anche comprendere se e come, all’interno del dibattito sul cambiamento climatico e delle scelte dei vari governi, verrà riconosciuta la centralità degli interessi, dei desideri e delle prospettive di chi maggiormente soffrirebbe dall’inazione, ovvero i giovani e i cittadini dei Paesi più vulnerabili. Senza meccanismi istituzionali e di rappresentanza in grado di dare voce e potere a tali soggetti, si ridurrebbe infatti la cogenza di qualsiasi impegno, anche di quelli più coerenti con gli Accordi di Parigi.