I benefici connessi al retrofit energetico del patrimonio edilizio esistente sono palesi se si considera esclusivamente la fase gestionale post-ristrutturazione. Ma è necessario prendere in considerazione anche gli impatti energetico-ambientali delle altre fasi di ciclo di vita dell’edificio
di Maurizio Cellura
(Rinnovabili.it) – Il settore edile è responsabile di circa il 40% dei consumi energetici, del 36% delle emissioni di gas climalteranti, di oltre il 50% del consumo di risorse minerarie e del 38% dei rifiuti prodotti nell’Unione Europea. L’estrazione e la trasformazione di materiali da costruzione contribuiscono, anche in modo significativo, ad altri impatti ambientali quali l’acidificazione, la tossicità, l’uso del suolo, l’impoverimento dello strato di ozono, ecc. Il Green Deal europeo sottolinea il ruolo chiave del settore edile nel percorso verso un’economia circolare e il raggiungimento della neutralità climatica nel 2050. Con la strategia “Renovation Wave” la Commissione europea ha prefissato l’obiettivo di raddoppiare i tassi di ristrutturazione nei prossimi dieci anni per ridurre il consumo di energia e risorse negli edifici.
Gli impatti riconducibili al settore edile possono essere classificati in impatti incorporati e impatti connessi alla fase di gestione. I primi sono riconducibili essenzialmente alle fasi di estrazione e trasformazione delle materie prime, alla produzione dei materiali, componenti e tecnologie, alla costruzione, alla manutenzione e allo smaltimento finale dell’organismo edilizio. I secondi, inerenti alla fase operativa, sono relativi al consumo di energia durante la fase d’uso dell’edificio, ad es. riscaldamento, raffrescamento, illuminazione, ecc. e al consumo di altre risorse, come ad esempio il consumo idrico.
I benefici connessi al retrofit energetico del patrimonio edilizio esistente sono palesi se si considera esclusivamente la fase gestionale post-ristrutturazione, ma il mancato compendio degli dell’edificio comporta uno spostamento degli impatti connessi alle attività edilizie a fasi diverse da quella operativa e soprattutto il rischio, qualora l’edificio sia usato saltuariamente e per brevi periodi, che gli impieghi di energia e gli impatti ambientali generati per rendere l’organismo edilizio molto più efficiente energeticamente non siano ripagabili nella vita utile dell’opera.
Una esperienza interessante è stata condotta nello studio “Life Cycle Energy and Environmental Assessment of the Thermal Insulation Improvement in Residential Buildings” pubblicato sulla rivista Energies (MDPI 2021). Lo studio si poneva l’obiettivo di valutare gli impatti energetici e ambientali connessi ad interventi di miglioramento dell’isolamento termico dell’involucro di edifici residenziali rappresentativi del contesto italiano e caratterizzati da tre diversi periodi di costruzione (1945-1969, 1970-1989, 1990-2010). L’analisi ha riguardato la valutazione e il confronto delle prestazioni ambientali connessi a due diverse tipologie di materiale isolante: un materiale convenzionale (scenario con lana di roccia) e un biomateriale (scenario con fibra di cellulosa), e la valutazione dei benefici energetici e ambientali conseguibili negli edifici ristrutturati rispetto allo status quo.
Lo studio ha evidenziato che l’uso del materiale isolante a base di fibre di cellulosa causa impatti energetici e ambientali minori in un ampio “range” di categorie ambientali, tra cui il cambiamento climatico. Tuttavia, il biomateriale è responsabile di un impatto maggiore sull’uso e la qualità del suolo, sull’acidificazione e sul consumo di risorse minerali. Con riferimento al consumo di risorse minerali, lo studio ha evidenziato che il contributo all’impatto è causato principalmente dai composti usati come ritardanti di fiamma nel processo produttivo delle fibre di cellulosa. L’isolante termico a base fibra di cellulosa, se confrontato alla lana di roccia, fornisce un contributo positivo al raggiungimento degli obiettivi relativi al raggiungimento della neutralità climatica. Tuttavia, in un’ottica di economia circolare dallo studio emerge la necessità di individuare dei percorsi produttivi alternativi che consentano di ridurre l’impatto sul consumo di risorse minerali, un indicatore chiave nella valutazione della circolarità dei sistemi.
Il confronto tra gli impatti energetici e ambientali di ciclo di vita degli edifici ristrutturati e non ristrutturati ha evidenziato che nei primi la riduzione del consumo di energia nella fase operativa, conseguente al miglioramento dell’isolamento termico dell’involucro, consente di migliorare le prestazioni ambientali di ciclo di vita in diverse categorie: consumo di energia primaria (-20%), cambiamento climatico (-20%), riduzione dello strato di ozono (-18%), ecc. In termini di decarbonizzazione del comparto edile, lo studio sottolinea con chiarezza che l’isolamento termico dell’involucro è estremamente vantaggioso. Per altre categorie di impatto ambientale (ad esempio, acidificazione, consumo di risorse minerali, ecc.) i vantaggi non sono così netti e talora i risultati mostrano anche degli svantaggi.
Lo studio ha anche stimato i tempi di recupero degli impatti ambientali ed energetici connessi all’intervento di ristrutturazione esaminato. Dall’analisi è emerso che, nello scenario con fibra di cellulosa, la riduzione dei consumi energetici nella fase operativa consente di recuperare gli impatti causati dall’intervento di ristrutturazione in meno di due anni in tutte le categorie investigate ad eccezione dell’acidificazione e del consumo di risorse minerali, per le quali i tempi di ritorno sono pari, rispettivamente a dieci e cinque anni. Nello scenario con lana di roccia, gli impatti connessi all’intervento di ristrutturazione sono recuperati in meno di tre anni in tutte le categorie con l’eccezione della tossicità umana con effetti cancerogeni e l’acidificazione, che hanno tempi di recupero pari a cinque e dieci anni, rispettivamente.
Con riferimento al periodo di costruzione degli edifici sottoposti a ristrutturazione, lo studio ha evidenziato che gli interventi di miglioramento dell’isolamento termico inducono benefici ambientali netti meno significativi per gli edifici risalenti al ventennio 1990-2010. Al contrario, gli edifici più vetusti, costruiti in particolare nel periodo 1946-1969 e caratterizzati da prestazioni termofisiche lontane dai target minimi prestazionali previsti dalle normative vigenti, qualora sottoposti a interventi di riqualificazione energetica, presentano benefici energetici e ambientali più elevati rispetto agli edifici più recenti.
Si sottolinea infine che i tempi di ritorno energetico-ambientali delle opzioni di “retrofitting” sono fortemente condizionati degli scenari di uso degli immobili. Se le politiche di incentivazione mireranno a privilegiare scenari di decarbonizzazione più spinti, le abitazioni sporadicamente impiegate dovrebbero occupare gli ultimi posti nelle gerarchie di incentivazione.