Il rapporto First Line Defenders conferma l’America Latina come continente più pericoloso per chi difende i diritti della terra e le risorse naturali. Gli attivisti indigeni colpiti più di tutti
Sono 331 gli attivisti ambientali e per i diritti umani uccisi nel 2020
(Rinnovabili.it) – L’America Latina è il posto più pericoloso del mondo per gli attivisti ambientali e per chi difende i diritti umani. Tre quarti degli omicidi registrati nel 2020 sono avvenuti in questo continente. Sono 331 in tutto, di cui la fetta più grande (il 69%) riguarda proprio gli attivisti che lottano per la difesa del diritto alla terra, per la tutela delle risorse naturali dalla speculazione e dal degrado, e per i diritti delle comunità indigene.
Il rapporto di Front Line Defenders rivela che il paese con il numero di uccisioni più alto è la Colombia, che ne totalizza ben 177. Secondo posto per le Filippine di Duterte con 25 assassinii. E poi a seguire si torna in America con Honduras, Messico, Brasile e Guatemala, con l’unica eccezione dell’Afghanistan.
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Nella trafila di cifre un dato salta all’occhio, quello degli attivisti indigeni. Da soli costituiscono quasi un terzo del totale di 331 difensori dei diritti umani uccisi in tutto il mondo, anche se le popolazioni indigene sono solo il 6% circa della popolazione mondiale. Gli attivisti provenienti dalle comunità indigene sono colpiti in modo sproporzionato. Soprattutto in America Latina, dove la vicenda di Berta Caceres è solo la più nota tra le decine e decine di omicidi compiuti spesso anche con la connivenza delle autorità.
Questa situazione tocca anche quei paesi che normalmente non vengono associati ad azioni del genere. “In Perù, le uccisioni sono aumentate da una nel 2018 a otto nel 2020. Il 75% delle persone uccise nel 2020 erano indigeni, tutti stavano lavorando sul tema della terra o su questioni indigene, il che significa che la maggior parte, se non tutti, si trovava in aree più remote e contro attori aziendali e statali che cercavano il controllo sulla terra e sulle risorse naturali”, commenta Ed O’Donovan di Front Line Defenders.
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Il rapporto mette in luce anche l’impatto del Covid-19 sulla strage di attivisti ambientali. Da un lato, ci si potrebbe aspettare che la pandemia e i lockdown abbiano portato a un calo delle manifestazioni di protesta, e di conseguenza a una minore esposizione degli attivisti. Tutto il contrario, spiegano gli autori. “La pandemia Covid-19 ha messo in luce molte criticità in molte società, in particolare le disuguaglianze sistemiche e gli insuccessi del governo nel fornire servizi efficaci ai suoi cittadini”, continua O’Donovan. Gli attivisti quindi si sono generalmente fatti carico delle esigenze supplementari dettate dall’emergenza sanitaria. Doppia esposizione, aumento del rischio.