Secondo la relazione speciale non c’è stato il recupero di ecosistemi e habitat marini significativi. Il quadro normativo Ue – viene spiegato - per la protezione dell’ambiente marino non va abbastanza in profondità da riuscire a riportare i mari ad un buono stato ecologico. Inoltre, i fondi dell’Ue raramente sostengono la conservazione e la tutela, e la pesca è eccessiva in particolare nel Mediterraneo
di Tommaso Tetro
(Rinnovabili.it) – Non funzionano le azioni europee per la protezione del mare. Secondo la relazione speciale della Corte dei conti Ue infatti l’azione europea non ha condotto al recupero di ecosistemi e habitat marini significativi. Il quadro normativo Ue – viene spiegato – per la protezione dell’ambiente marino non va abbastanza in profondità da riuscire a riportare i mari ad un buono stato ecologico ed i fondi dell’Ue raramente sostengono la conservazione di specie e habitat marini. La Corte ha rilevato che le aree marine forniscono una protezione effettiva limitata, mentre continua a esserci una pesca eccessiva, specialmente nel Mediterraneo.
Le principali politiche per la tutela del mare esse prevedono, tra l’altro, l’istituzione di una rete di aree marine protette. In particolare sulla pesca l’Ue mira a garantire, mettendo a disposizione fondi, attività di pesca sostenibili dal punto di vista ambientale e con un impatto negativo minimo sugli ecosistemi marini. Ma l’Europa non è riuscita a porre un freno alla perdita di biodiversità marina.
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“Data la loro importanza economica, sociale e ambientale – afferma João Figueiredo, membro della Corte dei conti europea e responsabile della relazione – i mari costituiscono un vero tesoro. Tuttavia, l’azione Ue non è finora riuscita né a far tornare i mari europei ad un buono stato ecologico, né la pesca a livelli sostenibili”. Dalla Corte viene segnalata chiaramente “una situazione allarmante riguardo alla protezione dei mari dell’Ue”.
Le più di 3000 aree marine protette rappresentano la misura più emblematica di conservazione dell’ambiente marino. Ma anche se costituiscono un’ampia rete di protezione, la Corte rileva che non va in profondità. Questo è in linea con una recente valutazione dell’Agenzia europea per l’ambiente, secondo cui meno dell’1% delle aree marine protette europee potevano essere considerate riserve marine soggette a una protezione totale.
Anche gli strumenti di regolamentazione che collegano la politica dell’Ue sulla biodiversità marina alla politica in materia di pesca “non funzionano correttamente”. Nelle zone marine esaminate dalla Corte, tali strumenti “non sono ancora stati usati con successo. La normativa include disposizioni sulle specie e sugli habitat minacciati”, ma “hanno più di 25 anni e non tengono conto delle recenti conoscenze scientifiche”. Sulla pesca c’è stato “un miglioramento degli stock ittici nell’Atlantico” ma “nel Mediterraneo non vi è stato alcun segno concreto di progressi. Nel Mediterraneo, la pesca raggiunge livelli doppi rispetto a quelli sostenibili”; soltanto “il 6% degli stock esaminati nel Mediterraneo rispettava i criteri del ‘rendimento massimo sostenibile’”.
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Per il periodo 2014‑2020, al Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (Feamp) sono stati assegnati 6 miliardi di euro. Tuttavia, la Corte stima che “i quattro Stati membri da essa visitati (Spagna, Francia, Italia e Portogallo) ne avevano utilizzato solo il 6% circa per interventi direttamente collegati alle misure di conservazione e un ulteriore 8% per misure aventi un impatto meno diretto sulla conservazione. Di questo ammontare, meno di 2 milioni di euro (0,2%) erano stati utilizzati per limitare l’impatto della pesca sull’ambiente marino”.