L'NSIDC pubblica l'ultimo rapporto sullo scioglimento dei ghiacci nell'Artico. La perdita è di 1,61 milioni di chilometri quadrati.
(Rinnovabili.it) – Il 2009 si classifica al terzo posto nella classifica degli anni critici a partire dal 1979, per diminuzione della calotta glaciale dell’emisfero Artico in base all’ultima stima “Arctic Sea Ice News & Analysis”:https://nsidc.org/arcticseaicenews/ del National Snow and Ice Data Center (NSIDC).
L’aggiornamento, presentato il 12 settembre scorso, registra una perdita di 1,61 milioni di chilometri quadrati (620.000 miglia quadrate) di superficie che, pur non rappresentando il picco record, registrato invece nel 2007 con 370.000 miglia quadrate e successivamente poi nel 2008 con 220,000, non può passare inosservato poichè non è un segno di miglioramento. Anzi.
Il fatto che il 2009 non abbia inciso particolarmente sulla perdita dei ghiacci è solamente il frutto delle temperature più fresche che hanno contraddistinto l’estate appena passata; infatti i mari Chukchi e Beaufort si sono mantenuti più freddi rispetto al 2007 evitando così, che i dati relativi ai ghiacci dell’Artico, per altro molto giovani e per questo facilmente distruttibili, superassero in negativo quelli di due anni fa.
Il NSIDC ad ottobre, emetterà un comunicato stampa in cui sarà in grado di stilare un analisi completa, che verrà aggiornata passo passo periodicamente sulla salute dei ghiacci e sull’avanzamento o regressione delle sue proporzioni.
Intanto Greenpeace rinnova il suo allarme dall’Arctic Sunrise, la nave rompighiaccio con cui sta conducendo la sua spedizione nell’Artico e attualmente al largo della costa nord-orientale della Groenlandia. “Stiamo entrando in una nuova epoca di fusione dei ghiacci dell’Oceano Artico a causa del riscaldamento globale – spiega lo scenziato Peter Wadhams a bordo della nave – Nel giro di cinque anni la maggior parte del ghiaccio marino potrebbe scomparire nel periodo estivo. E tra 20 anni l’Artico arriverà alla fine del periodo estivo completamente privo dei ghiacci. Non possiamo più fare affidamento sui modelli di previsione usati fino ad oggi, che hanno sovrastimato le condizioni reali già dagli anni ’80”.