Il rapporto annuale del World Resources Institute ha fotografato ancora una volta tassi di deforestazione record. Polverizzati 11.9 milioni di ettari di verde. “2019 terzo anno peggiore di sempre, dopo 2016 e 2017”
di Matteo Grittani
(Rinnovabili.it) – Un treno lanciato a tutta velocità verso un burrone. Questa è l’immagine fosca, forse ansiogena, ma affatto fuori luogo scelta da Frances Seymour, decana al World Resources Institute (WRI), per commentare i nuovi dati del Global Forest Watch che fotografano il tasso annuo di deforestazione del nostro Pianeta. La Seymour è una delle più autorevoli voci mondiali in quanto a sviluppo sostenibile. Studia le foreste e i loro effetti sul clima da 30 anni. Un mostro sacro della Scienza, che non usa mezze misure. “I freni sono rotti, il binario è uno solo”. Abbiamo perso un campo di calcio di Foresta Tropicale ogni sei secondi nel 2019. 3.8 milioni di ettari scomparsi per sempre. Al loro posto coltivazioni intensive di cacao, olio di palma, caffè e poi grandi allevamenti ed altre attività industriali.
I dati certificati dall’Università del Maryland
La locomotiva ha la strada segnata, diceva il Principe De Gregori. Il Bufalo invece, può scartare di lato. E cadere. La locomotiva lanciata verso il burrone è il Pianeta intero, noi gli ignari passeggeri. Ma facciamo un passo indietro.
Ogni anno il WRI in collaborazione con l’Università del Maryland (UMD), fotografa le tendenze della copertura verde globale nel Global Forest Watch. Immagini satellitari formano una vera e propria mappa digitale – navigabile da tutti – che individua la rimozione o (la più rara) ricomparsa di vegetazione a tutte le latitudini. Si tratta di pixel con una precisione eccezionale: 30×30 metri.
Ebbene l’istantanea che ci restituisce è semplicemente desolante. 119 mila chilometri quadrati di copertura verde persi in un anno. Poco meno di metà Italia. Un terzo della superficie vegetale sparita era foresta primaria. Una Svizzera, tonda tonda. Perché preoccupa il dato? Le foreste, da sole, assorbono complessivamente il 33% dell’anidride carbonica emessa da attività antropiche ogni anno. Esse costituiscono l’apparato respiratorio della Terra. Non solo: quel verde così scuro, fitto ed umido, costituisce habitat naturale per più della metà delle specie viventi conosciute sulla Terra. Un presidio inestimabile di Biodiversità. Tutto ciò, secondo i dati crudi di WRI, lentamente muore.
Il Brasile di Bolsonaro è il Paese più “deforestato”
Così come gli anni scorsi, è il Brasile ad aver subito le perdite maggiori: 14 mila chilometri quadrati di foresta non esistono più. Dal 2000 ad oggi, il Paese vegliato dal Cristo Redentore ha visto scomparire l’11% della sua copertura verde. Una specie di diaspora botanica, localizzata quasi interamente nel Bacino Amazzonico. Quattro le cause principali secondo il rapporto: la crescente necessità di legname, l’estrazione mineraria, l’agribusiness e gli incendi. La retorica del Presidente Jair Bolsonaro non ha fatto altro che alimentare la fame di foresta di allevatori ed agricoltori locali, che reclamano spazi per le loro attività.
Ogni giorno l’Amazzonia è invasa da taglialegna e minatori illegali che maltrattano e spesso uccidono senza remore gli ultimi guardiani rimasti della foresta: gli indigeni che li vivono da sempre. Tutto ciò accade con una documentatissima connivenza delle istituzioni. Lo scorso aprile, funzionari dell’Istituto Brasiliano dell’Ambiente e delle Risorse Naturali (IBAMA), sono stati attaccati dai cosiddetti “land grabbers” durante la loro attività di monitoraggio e protezione nella riserva indigena di Cachoeira Seca. Assordante il silenzio dell’Amministrazione Bolsonaro.
Il Congo, la Bolivia e la Black Summer australiana
Insieme al Brasile, sul triste podio dei Paesi più colpiti, troviamo Repubblica Democratica del Congo e Bolivia. Il grosso dei 12 mila chilometri quadrati di verde spariti in Congo ha fatto posto – si legge nel rapporto – a nuove colture intensive (principalmente caffè e cacao). In Bolivia invece, un solo anno si è portato via l’1.3% della copertura verde del Paese in seguito ad una stagione di incendi estremamente pesante. I fuochi appiccati dai coltivatori per espandere le loro colture, hanno annientato la savana tropicale in Chiquitania, nel dipartimento di Santa Cruz. “Ci vorranno almeno cento anni – sostiene Mikaela Weiss, Project Manager del rapporto – per recuperare il verde andato in fumo laggiù”.
La perdita di vegetazione in Bolivia non ha precedenti, ed è effetto diretto di un decreto dell’ex Presidente Evo Morales, che nei primi mesi del 2019 di fatto incoraggiava gli allevatori ad espandere i loro terreni. Disastro, largamente annunciato, è quello che ha devastato il verde in Australia a settembre 2019. L’hanno definita Black Summer, la stagione degli incendi record. Ha interessato ben 186 mila chilometri quadrati di territorio, ucciso 34 persone e secondo varie fonti, spazzato via circa un miliardo di esseri viventi in totale.
Una Spada di Damocle sul futuro
“Il livello di deforestazione a cui abbiamo assistito inermi – avverte la Seymour – è semplicemente inaccettabile”. I ricercatori hanno stimato che con gli alberi persi nel 2019, è come se l’umanità avesse liberato in atmosfera 2 miliardi di tonnellate di anidride carbonica in un solo colpo. Per dare l’idea, è più di quanto emetta il traffico su strada negli Stati Uniti in media in un anno. Nel quadro attuale di crisi climatica, la deforestazione è un tema di vitale importanza che dovrebbe essere al centro del dibattito dell’opinione pubblica. Per ogni pixel che da verde scuro sbiadisce e diventa grigio o giallo, la probabilità di mitigare il cambiamento climatico diminuisce ulteriormente.