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Emergenza COVID 19: un’occasione per ripensare il nostro modello economico

Dai momenti di crisi nasce il cambiamento. Come diceva Albert Einstein: “Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose. La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi".

Credits: Sergey Nivens © 123rf.com

di Roberto Morabito

(Rinnovabili.it) – Stiamo oggi vivendo un momento di estrema difficoltà, con conseguenze sanitarie, economiche e sociali di proporzioni ancora indefinite. Ci troviamo in mezzo ad un uragano e dobbiamo innanzitutto affrontare l’emergenza della salute pubblica a tutela del bene primario della vita umana, tuttavia anche in questo caos dobbiamo mantenere la lucidità necessaria per riuscire a guardare oltre il presente, identificando il punto di arrivo lontano sull’orizzonte, verso il quale devono puntare fin da subito le attuali politiche e strategie.

Sono state già varate misure per supportare il sistema sanitario e forme di aiuto alle famiglie e alle imprese, eppure non dobbiamo perdere di vista l’obiettivo del passaggio da un modello economico dissipativo che non tiene conto degli equilibri eco-sistemici, verso un modello economico rigenerativo basato sulla decarbonizzazione e sull’uso efficiente delle risorse.

Questo periodo di emergenza ha evidenziato tutte le vulnerabilità del nostro attuale sistema, a partire dalla globalizzazione, che ha favorito la pandemia, ma mettendo in discussione anche il modello di economia lineare con spreco di risorse e produzione di rifiuti ed emissioni ambientali. In Italia stiamo inoltre scontando l’assenza di politiche industriali adeguate negli ultimi decenni, che tra l’altro ha favorito l’aumento della dipendenza del nostro Paese dall’importazione di beni e materiali. 

Come Paese, ad esempio, non riusciamo a soddisfare l’esigenza dei dispositivi di protezione individuale e dei respiratori perché per il loro approvvigionamento siamo attualmente quasi totalmente dipendenti dall’importazione da altri Paesi, che stanno adottando politiche di chiusura dei loro territori. In aggiunta occorre affrontare il problema del fine vita: il commissario Angelo Borrelli ha stimato un fabbisogno di 90 milioni di mascherine al mese e nelle zone più colpite dall’emergenza COVID-19 sono state triplicate le attività di raccolta e gestione rifiuti presso i nosocomi, con un sistema che si trova a rischio di collasso. Bisogna pensare a investimenti sull’intera filiera dei DPI, dalla produzione al fine vita, che ci consentano un uso più efficiente delle risorse, rendendoci quanto più possibile autonomi dalle importazioni.

Altra conseguenza immediata delle misure di contenimento del contagio, che sono ovviamente prioritarie e devono essere necessariamente seguite, è il maggiore consumo idrico per lavaggi e sanificazione. ENEA ha stimato un aumento del 50% di consumo di acqua potabile associato al lavaggio più frequente e più approfondito delle mani. In Italia vengono consumati ogni giorno circa 5 miliardi di mc di acqua potabile; se oltre all’aumentato consumo per il lavaggio delle mani si considerano anche altre operazioni di sanificazione interne ed esterne agli edifici, è possibile prevedere a seguito dell’emergenza un aumento di rilievo dei consumi di acqua potabile, che potrebbe mettere in crisi il sistema di approvvigionamento. Per evitare situazioni di carenza è opportuno mettere in pratica misure di prevenzione del consumo (ad esempio con utilizzo di riduttori di flusso) e ricorrere, laddove possibile, all’utilizzo di acqua (grigia e piovana) riciclata dopo opportuno trattamento, ad esempio nella sanificazione delle strade. Occorrono politiche e investimenti in innovazione, per riqualificare le aree residenziali e le reti idriche e sistemi di trattamento acque con tecnologie che possano consentire di prevenire i consumi e riciclare acque grigie e acqua piovane.

Le tecnologie ICT, sicuramente strumenti fondamentali in questa emergenza, hanno permesso a parecchie attività di andare avanti in modalità remota (smart working, studio, etc). Tuttavia, anche in questo caso, c’è un grande potenziale di miglioramento, a partire dalla connessione internet che dovrebbe essere garantita a tutta la popolazione (al momento 11 milioni di persone non hanno acceso a internet o hanno accesso ridotto), fino alla filiera delle apparecchiature elettroniche per le quali siamo completamente dipendenti dall’importazione. Occorrono politiche per promuovere la produzione hi-tech in Italia e impianti per il riciclo delle materie prime funzionali ad elevate prestazioni (Cobalto, Tantalio, Neodimio, Samario, Litio, Gallio, etc.)

Questi sono solo alcuni degli esempi che risultano di particolare rilievo in questo periodo, ma lo stesso ragionamento potrebbe essere esteso a molteplici ambiti di applicazione a livello urbano e industriale.

In questa fase di profondi mutamenti è dunque prioritario ripensare le basi dell’economia, non potendoci permettere di perdere questa occasione unica per ripartire con il piede giusto. Riprendendo quanto diceva Albert Einstein: dai momenti di crisi esce fuori il cambiamento. Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose. La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall’angoscia, come il giorno nasce dalla notte oscura. E’ nella crisi che nasce l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie.

E allora cosa bisogna fare? Per affrontare questa crisi è necessario uno sforzo enorme, vale la pena di indirizzarlo nella giusta direzione, invertendo l’attuale rotta e puntando su un modello economico e di sviluppo più sostenibile. Bisogna però dare gambe a questo modello economico innovativo, con politiche di supporto alla ripresa del Paese adeguate e indirizzando i piani di investimento, occasione unica per rilanciare il sistema di produzione, sulla strada della decarbonizzazione e della circolarità, promuovendo una concreta transizione verso modelli di produzione e di consumo basati su basati su approvvigionamento ed utilizzo sostenibile delle risorse, riduzione delle emissioni nell’ambiente e degli impatti sociali delle attività produttive. 

Si tratta di un processo di transizione molto complesso che necessita di azioni coordinate su tecnologia, economia, scienze ambientali, mediche, politiche e sociali ed è basato su un approccio inclusivo e collaborativo. Fondamentali strumenti sono lo sviluppo e l’implementazione di tecnologie, metodologie e approcci per l’uso e la gestione efficiente e la chiusura dei cicli nelle imprese, nelle filiere, nelle aree urbane e sul territorio. Le grandi sfide da traguardare su cui avviare un immediato programma di investimento:

  • Industria sostenibile e circolare
  • Transizione delle aree urbane verso città smart e circolari
  • Uso e gestione efficiente del Capitale Naturale e del territorio a partire da diverse priorità e nuove relazioni tra capitale economico e capitale naturale
  • Benessere, qualità della vita, integrazione ed inclusione come obiettivi

Il Rapporto sullo stato dell’Economia Circolare 2020 (elaborato dal Circular Economy Network e dall’ENEA) ha confermato come l’Italia sia ai primi posti tra le grandi economie europee in molti settori dell’economia circolare, tuttavia, purtroppo, l’andamento temporale degli indicatori mostra un peggioramento per il nostro Paese. Stiamo pericolosamente rallentando e se continuiamo così corriamo il rischio di essere presto superati dagli altri Paesi, che invece nel frattempo stanno accelerando. 

Nella recente Legge di bilancio è previsto un piano di investimenti pubblici per lo sviluppo di un Green deal italiano a sostegno delle spese in ricerca e sviluppo e in innovazione tecnologica, anche nell’ambito dell’economia circolare e della sostenibilità ambientale (in particolare con gli incentivi fiscali previsti dal Piano nazionale Transizione 4.0). 

Servono però interventi sistemici con la realizzazione di infrastrutture e impianti, con maggiori investimenti nell’innovazione e, soprattutto, con strumenti di governance efficaci. Occorre adottare il prima possibile una strategia nazionale sull’Economia Circolare e, sull’esempio di altri Paesi, dotarsi di una Agenzia Nazionale per l’Economia Circolare, sfruttando competenze e strutture già esistenti. Un’Agenzia che supporti la pubblica amministrazione centrale e locale, nella definizione e implementazione di strumenti legislativi, normativi e fiscali, le imprese, soprattutto le PMI, nella transizione, e i cittadini, con azioni di formazione/informazione e di percorsi condivisi decisionali, ad esempio in merito alla pianificazione delle opere di rigenerazione urbana, agli interventi territoriali e alla realizzazione di impianti.