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L’illusione climatica dei grandi inquinatori: piantare alberi per azzerare le emissioni

Greenpeace Italia denuncia la tendenza di governi e multinazionali a spacciare per “riforestazione” la creazione di piantagioni ad uso commerciale

piantare alberi
Credit: bobistraveling (CC BY 2.0)

Piantare alberi non può essere la scusa per continuare a inquinare

(Rinnovabili.it)- Piantare alberi, soprattutto se destinati ad un uso commerciale, non rappresenta una panacea per la crisi climatica. Al contrario: per molte realtà è solo la scusa dietro cui nascondersi per continuare a inquinare. A ricordarlo è oggi Greenpeace attraverso un nuovo rapporto dall’esplicativo titolo “Le piantagioni non sono una soluzione per i cambiamenti climatici”.

Il documento fa luce su una delle pratiche ambientali più diffuse tra le grandi aziende: “compensare” le attività dannose per il clima attraverso nuove piantagioni. Shell, ad esempio, prevede di piantare milioni di alberi come parte di un programma per ridurre la sua impronta netta di carbonio del 2-3%. Altri colossi petroliferi come Total e BP, e compagnie aree come Air France e EasyJet, stanno investendo in progetti di riforestazione per compensare le proprie emissioni.

Ma piantare alberi non annulla le emissioni dei combustibili fossili”, scrive l’associazione. “C’è un intervallo di tempo compreso tra dieci e venti anni da quando le foreste vengono piantate fino a quando non iniziano a costruire quantità significative di biomassa per assorbire il carbonio dall’atmosfera. Nel frattempo, bruciando fossili i carburanti aggiungono quantità maggiori di carbonio nell’atmosfera, proprio durante gli anni più critici per evitare i peggiori scenari climatici”.

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Ripristinare le foreste e ricorrere alle cosiddette “soluzioni basate sulla natura” per affrontare le sfide socio-ambientali è essenziale per mantenere l’aumento medio della temperatura globale entro 1,5°C. Tuttavia, le multinazionali stanno abusando pericolosamente di questo concetto.

Colossi delle energie fossili come Shell, Total e Bp sono responsabili di alcune delle più devastanti distruzioni ambientali della storia umana – afferma Martina Borghi, campagna foreste di Greenpeace Italia. – E ora vorrebbero far passare la creazione di piantagioni ad uso commerciale come riforestazione, facendoci credere che piantare qualche albero possa autorizzare a continuare ad estrarre petrolio, gas e carbone”.

Non solo. Un recente studio – pubblicato dalla rivista scientifica Nature – ha rivelato che quasi la metà delle aree che i governi hanno promesso di destinare al rimboschimento diventeranno in realtà monocolture a uso commerciale, cioè destinate alla produzione di legno, gomma o simili. 

Il problema è facilmente intuibile. Mentre le foreste naturali continuano a rimuovere il carbonio dall’atmosfera per decenni o addirittura secoli, le piantagioni monocultura vengono raccolte a intervalli regolari; il che significa che quasi tutto il carbonio immagazzinato negli alberi ritorna nell’atmosfera, mentre i rifiuti delle piantagioni e i prodotti del legno – principalmente carta e truciolato – si decompongono.

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About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.