Negli ultimi anni, le foreste tropicali hanno perso la loro capacità di stoccare anidride carbonica a causa della deforestazione. Di contro, le foreste boreali "guadagnano" sempre più CO2, ma il fenomeno potrebbe presto interrompersi.
Le foreste sono degli importanti pozzi di carbonio per il pianeta. Uno studio ne mostra il funzionamento, registrando un pericoloso cambiamento.
(Rinnovabili.it) – Uno studio condotto dalla Lund University (Svezia) rileva che le foreste tropicali, vale a dire quelle che si trovano nella fascia equatoriale del pianeta, stanno perdendo la loro capacità di assorbire CO2 dall’atmosfera. Di contro, le foreste boreali (che si trovano nelle regioni sub-artiche) assorbono le emissioni a un ritmo sempre più rapido. Lo scopo della ricerca è produrre un quadro dettagliato del funzionamento dei pozzi di carbonio nel periodo di tempo che va dal 1992 al 2015.
Secondo i ricercatori svedesi, la principale causa della perdita di capacità di stoccaggio di CO2 da parte delle foreste tropicali è la deforestazione: Amazzonia, Indonesia e Asia sud-orientale mostrano infatti un cambiamento preoccupante nell’assorbimento di anidride carbonica. Dall’altro lato, però, non è del tutto chiara la causa dei “guadagni” delle foreste boreali, anche se il fattore trainante potrebbe essere l’effetto fertilizzante della CO2, che favorisce la crescita delle piante.
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Le foreste, e in generale la vegetazione, rappresentano degli importanti pozzi di carbonio per il pianeta, in grado di assorbire circa il 30% delle emissioni antropiche di gas-serra, cioè prodotte dall’attività umana. La vegetazione assorbe CO2 durante la fotosintesi e ciò significa che, fintanto che le piante sono vive, possono essere un importante strumento di stoccaggio a lungo termine di anidride carbonica.
Per tale ragione, lo studio (pubblicato su Nature Ecology & Evolution) ha realizzato una mappa della distribuzione delle aree forestali per analizzare il funzionamento dei pozzi di carbonio nelle varie regioni della Terra. I dati provengono per la maggior parte dalle rilevazioni satellitari, che utilizzano le microonde per registrare i cambiamenti nella “biomassa fuori terra”, vale a dire la materia vegetale vivente che copre la superficie terrestre, compresi rami, foglie, tronchi e fogliame caduto. Le foreste tropicali e boreali erano le più importanti per lo stoccaggio del carbonio: insieme, infatti, rappresentavano più della metà (53%) della CO2 catturata durante il periodo dello studio.
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Tuttavia, a partire dal 2008 questi due pozzi di carbonio hanno dimostrato una sempre maggiore divergenza di comportamento. La feroce deforestazione dell’Amazzonia ha sicuramente contribuito a questo cambiamento, così come la perdita delle foreste in Africa centrale e occidentale. Inoltre, lo studio si ferma al 2015, senza tenere in conto i picchi di deforestazione della foresta amazzonica brasiliana raggiunti negli ultimi anni.
Per quanto riguarda i guadagni delle foreste boreali, il potere fertilizzante della CO2 potrebbe dare una risposta al cambiamento ma, se fosse davvero così, allora ci si potrebbe aspettare che questo effetto possa rallentare o addirittura invertirsi nel futuro. Infatti, come dichiara a Carbon Brief Anja Ramming, ricercatrice dell’Università di Monaco, “la domanda è: per quanto tempo questo carbonio rimarrà nelle foreste? È possibile che si perda prima del previsto, perché se gli alberi crescono più velocemente, potrebbero morire più giovani. Se gli alberi muoiono più giovani, potremmo aspettarci di vedere uno scenario completamente invertito tra 10 o 20 anni“.