Da un team di ricercatori internazionali, le batterie con elettroliti fluorurati in grado di funzionare a temperature molto alte o molto basse in perfetta sicurezza
Dai carbonati ai fluorurati, come cambia l’elettrolita delle batterie
(Rinnovabili.it) – Dalle temperature bollenti equatoriali a quelle gelide dei Poli: per le batterie a ioni di litio è arrivato il momento di esplorare nuovi panorami applicativi. A renderlo possibile è il nuovo elettrolita creato da un gruppo di scienziati della University of Maryland negli Stati Uniti e della Zhejiang University in Cina.
Gli elettroliti sono quei componenti chimici che consentono il flusso di ioni tra il catodo e l’anodo all’interno delle batterie. Nella convenzionale tecnologia al litio sono composti a base di carbonato altamente infiammabili, fattore che ne limita notevolmente l’uso a certe temperature. Per la precisione i dispositivi a ioni di litio, oggi in commercio, possono funzionare in sicurezza solo tra -20°C e 50°C o con tensioni comprese tra 0,0 e 4,3 V.
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Per ampliare la finestra di stabilità elettrochimica di queste batterie, gli scienziati hanno impiegato una particolare classe di composti: elettroliti fluorurati con solventi non polari. In questo modo il team ha potuto disaccoppiare le proprietà elettrochimiche e fisiche degli elettroliti accedendo ad una ampia finestra di temperature (da -95°C a +70°C) e di tensioni (da 0,0 V a 5,6 V).
L’innovazione ha finora permesso agli scienziati di ottenere un’elevata stabilità elettrochimica all’interno di un range di tensioni più ampio e conduttività ioniche elevate in una gamma di temperature più estesa. Essendo totalmente non infiammabili, i nuovi elettroliti sono anche molto più sicuri rispetto a quelli carbonati, e in futuro potrebbero essere usati per costruire batterie ad alte prestazioni capaci di funzionare anche in climi estremi, ad esempio nell’Artico o nella savana africana.
“Ora – spiegano i ricercatori del gruppo – cercheremo di ottimizzare la composizione delle batterie sviluppate per ridurne i costi collaborando anche con le industrie per la loro commercializzazione”. I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista Nature Energy (testo in inglese).
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