La vittoria in tribunale delle associazioni ambientaliste e le richieste di nuove valutazioni di rischio dell'Unesco hanno segnato un nuovo stop per la centrale di Lamu, il primo impianto a carbone del Kenya
L’Unesco vorrebbe inserire nella lista dei siti patrimonio dell’umanità a rischio la città vicino cui dovrebbe sorgere la prima centrale energetica a carbone keniota
(Rinnovabili.it) – Nuovo stop per la costruzione della prima centrale energetica a carbone in Kenya: dopo la revoca della concessione ambientale decisa da una Corte keniota a fine giugno, arriva anche la richiesta dell’Unesco di fornire un’adeguata analisi dell’impatto ambientale e culturale che l’impianto potrebbe avere sul territorio (in lista per entrare nei siti Patrimonio dell’Umanità) e sulle comunità locali.
Il progetto, spinto da un consorzio keniota – cinese, prevede la costruzione di una centrale a carbone da 981 MW vicino alla città costiera di Lamu, un insediamento risalente al 14esimo secolo destinato a entrare nelle liste dei siti Unesco.
I lavori (per un costo stimato di 2 miliardi di dollari) sarebbero dovuti iniziare nel 2015, ma l’opposizione di associazioni ambientaliste e civili hanno costantemente ritardato le operazioni. Lo scorso 26 giugno, un tribunale keniota ha revocato la licenza a costruire ad Amu Power, la compagnia incaricata del progetto, e ha chiesto alle autorità competenti di presentare una valutazione ambientale rigorosa e di informare le popolazioni locali sul potenziale impatto degli impianti.
Il Comitato Unesco per il Patrimonio Mondiale, durante l’ultima riunione di Baku, in Azerbaijan, ha invitato l’amministrazione keniota a rivedere le concessioni ambientali della centrale a carbone e di studiare il potenziale impatto dell’inquinamento prodotto sul delicato ecosistema di edifici in pietra della città vecchia di Lamu. Le autorità locali avranno tempo fino a febbraio 2020 per presentare una valutazione all’Unesco; dopodiché la città potrebbe essere inserito nella lista dei siti patrimonio dell’umanità a rischio.
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Secondo le diverse associazioni ambientaliste che hanno bloccato la costruzione degli impianti, la centrale potrebbe aumentare del 700% le emissioni di gas serra in Kenya, aumentare i rischi per la salute della popolazioni locali e causare piogge acide che potrebbero danneggiare attività agricole e ittiche. Gli attivisti sostengono, inoltre, che la realizzazione di una centrale a carbone sia in antitesi con i piani ambientali del Kenya che prevedono di generare 2/3 dell’elettricità da fonte rinnovabile e di ridurre di 1/3 l’impronta di carbonio nazionale entro il 2030.
I promotori della centrale, d’altro canto, sostengono che la sua realizzazione aumenterà di quasi un terzo la generazione elettrica in Kenya e porterà ad un abbattimento dei costi per l’energia con un risparmio del 50% sulle spese sostenute dai consumatori. Secondo l’Amu Power, l’elettricità prodotta dalla centrale di Lamu verrebbe a costare 7,2 centesimi di dollaro al kWh.
Un recente studio di un think tank statunitense contraddice però le stime dell’impresa costruttrice: secondo il report dell’Institute for Energy Economics and Financial Analysis l’accordo di fornitura per 25 anni costerebbe ai consumatori oltre 9 miliardi di dollari, anche se la centrale non dovesse produrre energia. Una valutazione che porterebbe il prezzo dell’elettricità tra i 22 e i 75 centesimi di dollaro per kWh, 10 volte più di quanto stimato da Amu Power.
L’analisi costi benefici dell’IEEFA suggeriva al Governo del Kenya di cancellare il progetto. I rappresentanti di Amu Power e del consorzio keniota – cinese avranno 30 giorni di tempo per decidere se ricorrere in appello contro la decisione del Tribunale e presentare una nuova valutazione di rischio ambientale.
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