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Un polimero autoriparante per i pannelli solari in perovskite

Dall'Università di Okinawa arriva un nuovo strato protettivo per le celle solari in grado di ridurre radicalmente la quantità di piombo perso nell'ambiente in caso di danni ai moduli

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Come rendere la tecnologia dei pannelli solari in perovskite più ecofriendly

(Rinnovabili.it) – I pannelli solari in perovskite sono ormai prossimi al mercato, con le prime linee di produzione pilota – da Oxford PV a Saule Technologies – intente a scaldare i motori. Ma, nonostante la tecnologia sembri essere in grado di mantenere le promesse fatte nei tempi predetti, diversi problemi risultano ancora aperti. Uno di questi è la presenza di piombo nelle formule cristalline che risultano più efficienti per l’effetto fotovoltaico. “Sebbene i pannelli solari in perovskite siano efficienti nel convertire la luce solare in elettricità ad un costo accessibile, il fatto che contengano piombo solleva considerevoli preoccupazioni ambientali”, spiega il professor Yabing Qi, capo dell’unità Energia e Scienze delle superfici presso l’Università di Okinawa Institute of Science and Technology (OIST).

Esistono ovviamente delle alternative in fase di studio senza tale metallo, ma la resa e la stabilità di questi cristalli sono ancora piuttosto basse. “Trovare modi di utilizzare il piombo evitando che si diffondano nell’ambiente, quindi, è un passo cruciale per la commercializzazione”, ha aggiunto lo scienziato.

 

Per rendere la tecnologia più sicura ed eco-friendly, Qi e il suo team hanno sviluppato un nuovo polimero di rivestimento, in grado di evitare la fuoriuscita di sostanze pericolose dai moduli fv in caso di danni o rotture. Come spiegato nell’articolo pubblicato su Nature Energy (testo in inglese), gli scienziati hanno esplorato diversi metodi di incapsulamento per aggiungere strati protettivi alle celle esponendole quindi a condizioni estreme e stress fisici.

 

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L’obiettivo era testare le unità nel peggiore scenario meteorologico possibile, valutando gli effetti di fenomeni come la grandine o le piogge acide. Gli esperimenti hanno permesso di individuare il miglior composto protettivo: una resina epossidica in grado di autoripararsi e ritornare parzialmente alla sua forma originale quando esposta alla luce. Il polimero ha sovraperformato tutti i materiali di incapsulamento rivali. “La resina epossidica è certamente un ottimo candidato, tuttavia altri polimeri autoriparanti potrebbero fare anche di meglio”, spiega Qi. “In questa fase, siamo contenti di promuovere gli standard del settore fotovoltaico e di portare la sicurezza di questa tecnologia nella discussione, in seguito potremo basarci su questi dati per confermare quale sia veramente il miglior polimero”.

Oltre alla perdita di piombo – sottolinea il gruppo -, un’altra sfida da risolvere sarà quella di aumentare le celle nei pannelli solari in perovskite.

 

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