Grazie al metodo concepito dall’ENEA, da oggi diventa possibile prevedere il percorso e l’intensità dei fiumi di fango, per intervenire in tempo e mitigare il danno provocato dal dissesto idrogeologico
Il modello anti dissesto idrogeologico sarà testato in Perù e in un programma per la protezione delle infrastrutture critiche in Italia
(Rinnovabili.it) – Da oggi inizia una nuova era nella gestione del dissesto idrogeologico. Grazie a un innovativo metodo concepito dall’ENEA, diventa finalmente possibile prevedere il percorso e l’intensità dei fiumi di fango, per intervenire in tempo, mitigare il danno e analizzare i costi e i benefici di una eventuale ricostruzione resiliente delle aree interessate. Uno strumento che, messo nella mani delle amministrazioni pubbliche, consente di gestire al meglio i rischi derivanti da questi fenomeni naturali, spesso non prevedibili. Il metodo è stato messo a punto da un team multidisciplinare di ricercatori del Laboratorio Tecnologie per la Dinamica delle Strutture e la PREVenzione del rischio sismico e idrogeologico e del Laboratorio Analisi e Protezione delle Infrastrutture Critiche dell’ENEA e, oltre a migliorare la difesa e la sicurezza di strutture e infrastrutture presenti in un’area con propensione a fenomeni franosi, è un elemento fondamentale da tenere presente nelle strategie di mitigazione del danno atteso, da replicare e adattare anche in altri contesti. L’approccio seguito incrocia dati geografici, storici e territoriali con studi sul campo condotti in occasione delle frane di Messina e su test di mitigazione del rischio realizzati in Afghanistan attraverso finanziamenti della Banca Mondiale.
>>Leggi anche Frane e inondazioni: troppe vittime del dissesto idrogeologico in Italia<<
Il metodo consente di individuare aree e infrastrutture a rischio dissesto idrogeologico attraverso due livelli di approfondimento: uno nazionale, in cui si valutano i livelli di suscettibilità per distinte tipologie di fenomeni franosi (e qui l’ENEA distingue tra frane a lenta evoluzione, come le grandi colate di argilla tipiche del Centro-Nord Italia o della Basilicata, frane a rapida evoluzione, cioè crolli di massi di roccia da pareti verticali, e frane superficiali a rapida evoluzione, cioè i fiumi di fango), e uno locale, attento soprattutto alle frane superficiali a rapida evoluzione (quelle, cioè che causano il maggior numero di danni e vittime), che consente di stimare le aree di possibile propagazione del fenomeno. “L’analisi dei dati storici incrociati con quelli di suolo, pendenza, tipo di roccia e di altri parametri – spiega Claudio Puglisi, del Laboratorio Tecnologie per la Dinamica delle Strutture e la PREVenzione del rischio sismico e idrogeologico – permettono di individuare le zone di futuro innesco del fenomeno franoso anche in aree dove non è mai avvenuto”.
I dati geografici e le informazioni territoriali sono organizzati in un’apposita banca dati territoriale e fruibili attraverso una specifica applicazione via web. “Oltre a permettere la mappatura e la condivisione dei dati e dei risultati – specifica Maurizio Pollino del Laboratorio Analisi e Protezione delle Infrastrutture Critiche – questa applicazione si è rivelata fondamentale per fornire un supporto decisionale agli specialisti della Banca Mondiale e ai tecnici delle istituzioni afghane interessati come utenti finali”. Come spiegato da Puglisi, l’Afghanistan è un paese che, sia per posizione geografica che per anni di degrado ambientale, è molto soggetto a fenomeni quali inondazioni, terremoti, valanghe, frane e siccità. Dallo studio condotto dalla Banca Mondiale è emerso che il 70% del territorio afghano è a rischio frana e nel 2014 il Paese ha registrato il più alto numero di morti al mondo provocati dai disastri naturali.
Il modello anti dissesto idrogeologico messo a punto dall’ENEA sarà testato in un progetto in Perù, in collaborazione con l’Università di Torino, e in un programma per la protezione delle infrastrutture critiche in Italia.