Un team di scienziati ricostruisce le variazioni atmosferiche dello iodio dal 1760 a oggi. L’aumento degli ultimi anni può avere effetti sull’aerosol ultrafine e sulla temperatura
Dal 1950 al 2010 lo iodio atmosferico è triplicato
(Rinnovabili.it) – Lo Iodio è il secondo minerale, dopo il ferro, a essere stato riconosciuto come vitale per l’uomo. Ma la presenza di questo elemento non influenza sola la nostra salute. L’assunzione di iodio da parte dei mammiferi rappresenta, infatti, l’ultimo serbatoio all’interno di un più ampio ciclo biogeochimico, con cui partecipa a una complessa varietà di processi atmosferici fisici e chimici.
Piogge ed erosione trasportano il minerale dalle rocce e dal suolo fino alle acque superficiali di mari e oceani; da qui evapora nell’atmosfera per ritornare, con le piogge, sulla superficie terrestre. Cosa succederebbe se questo ciclo accelerasse una delle sue fasi? È la domanda che sorge spontanea dopo la scoperta di un gruppo di ricerca internazionale di cui fanno parte il CNR e l’Università Ca’ Foscari Venezia.
>>leggi anche Clima: pericoloso rallentamento della corrente aceanica Amoc<<
Analizzando una carota di ghiaccio prelevata dalla penisola di Renland (est della Groenlandia) gli scienziati hanno scoperto che le concentrazioni di iodio in atmosfera sono aumentante velocemente dal 1950 al 2010. Un incremento che può essere connesso direttamente all’inquinamento umano e al ritiro del ghiaccio marino artico. A spiegare lo studio – pubblicato in questi giorni su Nature Communications – sono Andrea Spolaor dell’Istituto per la dinamica dei processi ambientali del Cnr e Carlo Barbante, direttore dell’Istituto Cnr e professore all’Università Ca’ Foscari Venezia. “Attraverso uno studio multidisciplinare condotto sulla carota di ghiaccio prelevata in Groenlandia siamo riusciti a ricostruire e spiegare le variazione atmosferiche dello iodio dal 1760 fino ad oggi, mettendo in evidenza che le concentrazioni sono rimaste stabili fino alla metà del ventesimo secolo ma sono triplicate negli ultimi cinquant’anni”.
Le cause? Essenzialmente l’aumento dell’ozono antropogenico e del fitoplancton sotto la superficie del ghiaccio artico. “Grazie anche all’uso di modelli climatici – continuano Spolaor e Barbante – […] si è compreso che l’aumento delle concentrazioni di ozono durante la cosiddetta “Great acceleration” (l’incremento dell’impatto umano sull’ambiente nel secondo dopoguerra) e la diminuzione del ghiaccio marino sono le cause principali dell’aumento di iodio atmosferico nella regione del nord Atlantico”.
A sua volta l’aumento dello iodio nell’atmosfera ha promosso la formazione dell’aerosol ultrafine, accelerato la perdita di ozono e ha notevolmente incrementato la sua deposizione nei continenti dell’emisfero settentrionale. I futuri cambiamenti climatici e l’azione antropogenica, si legge nel documento, potrebbero continuare ad amplificare le emissioni oceaniche di iodio con impatti potenzialmente significativi sulla salute e sull’ambiente su scala mondiale.