Il direttore generale della Federazione Italiana per l’uso Razionale dell’Energia traccia un bilancio delle attività FIRE, analizzando problemi e prospettive di tutto il comparto. E avverte: “Occorre investire nella ricerca e ridurre gli incentivi diretti agli investimenti”
Promozione dell’efficienza energetica e tutela dell’ambiente: saranno queste le priorità per l’Italia che sta giocando le sue sfide decisive nelle rinnovabili proprio in questi anni. Un futuro in cui cresce la necessità di avere figure specializzate sul mercato e un’informazione accurata per i cittadini. Abbiamo intervistato Dario Di santo, direttore generale FIRE, per analizzare in quale modo le aziende italiane si stanno preparando alla futura concorrenza internazionale.
*_Sofia Capone:_ Direttore FIRE è stata costituita nel 1988 dall’ENEA, dall’AIGE e dal EMC. Ventidue anni in cui non solo è cambiato lo scenario energetico nazionale ma anche gli obiettivi raggiunti dalla vostra Federazione. Qual è il bilancio che si sente di tracciare dopo tanti anni di attività di Fire?*
*_Dario Di Santo:_* Indubbiamente in questi 22 anni il contesto sociale, oltreché energetico, si è modificato in modo radicale. FIRE ha cercato il modo di interpretare e anticipare il cambiamento per perseguire i suoi obiettivi statutari: promuovere l’efficienza energetica e la tutela dell’ambiente supportando chi opera nel settore. Nei 10 anni che ho vissuto in FIRE in prima persona, dapprima come collaboratore, poi come consigliere e quindi direttore, la trasformazione si è fatta frenetica. Ai processi di liberalizzazione dei mercati dell’elettricità e del gas si è accompagnato infatti un incremento del lavoro richiesto agli energy manager e agli altri operatori di settore. Non sono sicuro che questo abbia portato un reale beneficio in termini di tariffe; ha di certo portato alla creazione di nuove figure professionali e nuovi soggetti, ma soprattutto ha complicato le regole del gioco e ha aumentato il lavoro degli energy manager, in parte a svantaggio degli interventi sugli usi finali. La crescita di FIRE, supportata dai soci, dalle commesse – fra cui spiccano le collaborazioni con l’ENEA – e dai progetti europei cui abbiamo preso parte (Greenlight, Eurocontract, ST-ESCO, e-Quem, Enerbuilding, Enforce, Soltec, H-Reii per citare i più recenti) è dimostrata dai soci – produttori di energia elettrica e termica, fornitori di tecnologie e servizi energetici, ESCO, enti locali, università e centri di ricerca, professionisti e energy manager – cresciuti oltre le 500 unità, dai numeri del conto economico, più o meno quadruplicato in 10 anni, e dall’attenzione alle risorse umane. Mi piace ricordare che FIRE ha investito nei contratti a tempo indeterminato, una scelta impegnativa in un mercato dominato dal “sottocosto” e da commesse di breve durata, ma l’unica via per assicurare un futuro roseo ai nostri figli. Ma l’attenzione rimane puntata avanti, nel tentativo di rispondere sempre meglio allo sviluppo del mercato, puntando anche ad azioni rivolte ad attori quali le banche, i decisori e gli amministratori, i cittadini comuni. Più l’energia sarà messa a fattore comune, più si diffonderanno l’efficienza energetica e le fonti rinnovabili.
*_D.D.S.:_* Per la verità l’attività svolta per conto del MSE inizialmente era finanziata attraverso l’ENEA, che, mettendo a disposizione di FIRE risorse umane a tempo parziale o pieno e rimborsando alcune spese, copriva i costi dell’incarico. È dalla gestione di Carlo Rubbia – poco interessato a questi temi – che questo non accade più, tanto che FIRE ha dovuto privilegiare le azioni rivolte ai soci, che la sostengono con le loro quote, e quelle legate alle commesse e ai progetti europei, che integrano le entrate sociali rendendo possibile la nostra crescita. Peccato, perché basterebbe una quota simbolica all’atto della nomina del tecnico responsabile per consentirci di fare molto di più. Comunque abbiamo cercato di supplire a questo sia attraverso la partecipazione ad alcuni progetti dedicati agli energy manager, da quelli locali a quelli interregionali – come l’azione portata avanti negli scorsi anni con l’ENEA all’interno del programma PON-ATAS – a quelli europei come e-Quem (qualificazione delle competenze degli energy manager). Quest’ultimo, in particolare, ha portato alla creazione di un corso di formazione on-line fruibile sulla piattaforma ENEA per la formazione a distanza.
In accordo con le richieste dell’articolo 8 della direttiva 2006/32/CE, la FIRE ha anche avviato una struttura, il Secem, dedicata alla certificazione delle competenze degli esperti in gestione dell’energia (EGE), il cui profilo è conforme alla norma UNI-CEI 11339:2009. Si tratta di un’opportunità per chi opera nel settore come energy manager o all’interno di strutture che erogano servizi energetici o di studi professionali per attestare le proprie competenze e conoscenze maturate in almeno tre anni di esperienza. La prima sessione si è tenuta a gennaio e ha portato alla certificazione dei primi 10 EGE, in possesso dei titoli richiesti e capaci di superare l’apposita procedura di esame. Una certificazione che assume ancora più significato se vista nell’ambito del nuovo quadro normativo che si sta delineando a livello europeo e nazionale, con l’emanazione della EN 16001:2009 sui sistemi di gestione energetici rivolta ad enti e aziende, della EN 15900:2010 sui servizi per l’efficienza energetica, della UNI-CEI 11352:2010 sulle ESCO certificate e delle norme in preparazione sulle diagnosi energetiche e sul benchmarking.
*_D.D.S.:_* Sicuramente un impatto positivo, anche se parlare di cultura è sempre più difficile in un contesto in cui le istituzioni che si occupano di diffonderla, sono messe sempre più in difficoltà dai tagli alla spesa. Del resto negli ultimi anni si sono cominciati a vedere i primi risultati. Un numero crescente di aziende ed enti ha iniziato a interessarsi del tema e una parte di queste ha investito in interventi di efficientamento energetico. Stesso discorso nel settore residenziale, dove nelle ristrutturazioni e nelle nuove costruzioni l’energia ha assunto un ruolo importante. Anche se gli incentivi disponibili, hanno avuto un ruolo specie nel secondo caso, il fattore principale è stato la sensibilizzazione degli utenti e degli operatori, cui hanno contribuito progetti portati avanti da associazioni, università e istituzioni, manifestazioni fieristiche dedicate e l’attenzione crescente dei media. Si tratta di un percorso fatto di conoscenza delle opportunità da un lato e di paura dei prezzi del petrolio dall’altro, ma il risultato è positivo. Chiaramente la cultura deve diffondersi a tutti i livelli. L’imprenditore o il cittadino che decidono di investire devono trovare dall’altra parte operatori competenti e qualificati, e soggetti che sappiano aiutarli attraverso apposite diagnosi energetiche. Su questo punto FIRE è partner nel progetto Enforce, che nei prossimi tre anni porterà alla realizzazione di una rete di energy auditor attivi nel settore residenziale sotto l’egida di Adiconsum. Lo scopo è anche quello di sfruttare lo strumento della certificazione energetica dell’edilizia per promuovere efficacemente misure per l’efficienza, evitando che si trasformi in un ennesimo e inutile pezzo di carta.
*_S.C.:_ Direttore uno dei vostri prossimi appuntamenti sarà ad ottobre la “Conferenza Nazionale Energy Management 2010”. Un’occasione per presentare le novità sul fronte legislativo e degli incentivi e per incontrare direttamente gli operatori di settore. In quest’ottica quali sono, secondo lei, gli strumenti che, da qui a pochi anni, potranno consentire alle aziende italiane di svilupparsi ed essere realmente competitive anche sui mercati internazionali?*
Sul fronte degli incentivi va detto che l’Italia ha investito rilevanti fondi pubblici in questi anni. Peccato che i risultati potenziali siano stati inficiati da procedure di assegnazione complesse dei fondi e da ritardi inaccettabili (si pensi al programma Industria 2015 e in parte alla Ricerca di Sistema nel settore elettrico). Sul fronte degli incentivi alle rinnovabili ci si è focalizzati troppo sull’incentivo alla realizzazione degli stessi, senza curarsi di migliorare le condizioni al contorno e sprecando dunque parte delle risorse, che sono servite a coprire i malfunzionamenti del sistema o a nutrire la speculazione. A nostro parere sarebbe utile ridurre l’entità degli incentivi diretti agli investimenti (siano essi il conto energia, i certificati verdi o altro) e destinare più risorse ad accrescere il numero dei funzionari pubblici a livello nazionale e regionale coinvolti nei processi autorizzativi e nel monitoraggio ai programmi. Allo stesso tempo si dovrebbero mantenere i fondi su ricerca, innovazione e imprenditoria assicurando però tempi certi e ragionevoli nell’erogazione dei fondi. Sono obiettivi realistici se si decide di destinare una parte delle risorse in personale da assumere nelle strutture di gestione dei fondi stessi. Non si deve dimenticare che la prima regola per fare sviluppare un mercato non è dare incentivi, ma garantire la certezza delle regole. E questa richiede di definire obiettivi di medio e lungo periodo. Ritengo che gli italiani e i politici debbano maturare e imparare a guardare oltre la punta dei piedi e gli interessi personali. Del resto la differenza con gli altri Paesi la fanno non i fondi pubblici, che risultano allineati, ma quelli privati, troppo spesso latitanti o, peggio, destinati a vergognosi fini.