La spedizione scandaglierà un tratto di oceano a 4.000 metri di profondità e dovrebbe valutare anche i possibili impatti ambientali. Critiche dalle associazioni ambientaliste
(Rinnovabili.it) – Gli esperti di oceanografia hanno dato il via libera. Il premier David Cameron ha parlato della cifra record di 40 miliardi di sterline da investire. E da qualche giorno è partita ufficialmente la prima spedizione che scandaglierà i fondali dell’oceano Atlantico. La prossima corsa all’oro potrebbe essere diretta lì e non verso le terre artiche liberate dallo scioglimento dei ghiacci – ma con le stesse minacce agli ecosistemi. In palio ci sono minerali preziosi e terre rare, essenziali per le nuove tecnologie – dagli smartphone alle turbine eoliche – e oggi quasi tutti in mano alla Cina o provenienti da aree di conflitto.
La spedizione inglese è diretta verso una catena sottomarina in mezzo all’Atlantico, a 4mila metri di profondità. Lì gli oceanografi segnalano un’attività vulcanica intensa che porta in superficie enormi quantità di metalli preziosi. Se basterebbe solo questo fatto a renderne appetibile lo sfruttamento, la concentrazione di minerali nelle sabbie che è stata ipotizzata è ancora più allettante: dal 20 al 25%, contro il 2% medio del rame estratto in miniera – uno dei minerali più diffusi nella crosta terrestre.
In questa direzione l’UK si muove da qualche tempo. Un’azienda britannica ha già ottenuto due licenze esplorative per 75mila kmq nel Pacifico. Anche in quel caso i minerali coinvolti sono oro, cobalto, zinco, tellurio, oltre alle terre rare.
Questa spedizione della Gran Bretagna rientra nel progetto Blue Mining finanziato dall’UE, Brexit permettendo. In teoria prevede anche la presenza di biologi marini che valutino l’impatto ambientale, ma restano molti dubbi sulle conseguenze che lo sfruttamento di questi giacimenti potrebbero avere sugli ecosistemi marini.
“L’oceano profondo non è ancora mappato o esplorato, perciò non si comprende ancora appieno la portata di un potenziale perdita di fauna e biosfera con l’estrazione – commenta Will McCallum di Greenpeace UK – Ciò di cui abbiamo disperatamente bisogno è una rete globale di santuari marini”.