Gli scienziati del Karlsruhe Institute of Technolog aumentano l'efficienza delle celle solari replicando le proprietà antiriflesso dei petali di rosa
(Rinnovabili.it) – Esiste un approccio alla moderna progettazione che si affida allo studio dei processi biologici e naturali per trovare la migliore soluzione in termini di economia generale. Negli ultimi 60 anni la Biomimesi (o Biomimetica) ci ha regalato potenti adesivi, tecniche di costruzione e materiali ecocompatibili, superfici autopulenti e innovativi design per la produzione da fonti rinnovabili. In ambito energetico uno dei più affezionati clienti della banca dati di Madre Natura, appare essere il fotovoltaico.
Lo dimostra, da ultimo, lo studio pubblicato su Advanced Optical Materials dagli scienziati del Karlsruhe Institute of Technology (KIT). In collaborazione Centro per Ricerca sull’energia solare e idrogeno del Baden-Württemberg, i ricercatori sono riusciti a migliorare la capacità delle celle fotovoltaiche di raccogliere la luce solare, studiando le proprietà ottiche, e in particolar modo quelle anti-riflesso, delle specie vegetali.
Il ricorso alla biomimesi appare forse ancora più naturale quando si tratta di celle solari. Il fotovoltaico, infatti, funziona per certi versi in maniera simile alla fotosintesi vegetale: la luce viene assorbita e convertita in una diversa forma di energia (chimica nelle piante, elettrica nel fotovoltaico). Più grande è la porzione dello spettro luminoso che si riesce a catturare e numerosi gli angoli di incidenza sfruttabili, maggiore sarà l’energia prodotta.
Nelle piante questa capacità di sfruttare al massimo i raggi solari è frutto di un lungo processo di evoluzione, che gli scienziati del KIT hanno voluto analizzare da vicino. Hanno così scoperto che l’effetto antiriflesso delle cellule vegetali superficiali sono particolarmente pronunciate nei petali di rosa, dove garantiscono contrasti cromatici forti finalizzati ad aumentare la possibilità di impollinazione.
All’origine di questa caratteristica c’è una precisa strutturazione della superficie dei petali, costituita da una disposizione disordinata di microconi densamente impacchettati, con nervature aggiuntive formate da nano strutture. Questa distribuzione apparentemente senza casuale, si comporta come un array di microlenti, migliorando l’interazione con la luce e aumentando la probabilità che i fotoni vengano assorbiti.
Per riprodurre esattamente la struttura gli scienziati hanno creato una pasta di polidimetilsilossano, un polimero a base di silicio, usandola come stampo sulla microstruttura dei petali. Questa replica in negativo della conformazione cellulare dei petali è stata quindi integrata in una cella solare organica. Il risultato? Guadagni in termini di efficienza del 12 per la luce incidente verticale, e anche maggiori per angoli bassi di incidenza. “Questo metodo, facile e conveniente, crea microstrutture dense e profonde che sono difficilmente realizzabili con tecniche artificiali”, spiegano gli scienziati, ora impegnati ad aumentare di scala il loro lavoro.