In Africa centro-settentrionale, Medio Oriente e Asia centrale la carenza di acqua dovuta al global warming potrebbe provocare drastici crolli del Pil
(Rinnovabili.it) – A meno che non vengano prese misure per razionalizzare la gestione dell’acqua, le economie in vaste aree del mondo potrebbero vedere drastiche contrazioni. Lo annuncia la Banca Mondiale, specificando che il Medio Oriente potrebbe essere la zona più a rischio, con un crollo del Pil del 14% entro il 2050. L’inasprirsi del cambiamento climatico potrebbe dunque gettare sul lastrico intere nazioni nell’arco di qualche decennio, se non si inizia ad investire in tecnologie quali la dissalazione e il riciclo dell’acqua, dichiara l’organismo con sede a Washington.
Il riscaldamento globale può causare alluvioni violente e siccità e sostituire la neve con la pioggia, aumentando il tasso di evaporazione dell’acqua e riducendone il flusso da monte a valle. Se da un lato i fiumi rischiano di ridurre la loro portata, a causa della diminuzione dei ghiacciai, l’attacco alle risorse idriche potabili verrà anche dal mare. L’innalzamento del livello può portare l’ingressione di acqua salata in corrispondenza delle foci fluviali o la contaminazione delle falde sotterranee.
A soffrire più di altri saranno i settori agricolo ed energetico.
Le economie dell’Europa occidentale e del Nord America, sostiene la Banca Mondiale, potrebbero essere risparmiate dalla recessione. Ma economie emergenti come la Cina e l’India potrebbero essere colpite duramente. Nella fascia del Sahel, che si estende sotto il deserto del Sahara, il Pil potrebbe crollare dell’11% a causa della scarsità d’acqua. Un simile impatto attenderebbe l’Asia centrale, secondo gli esperti. La redistribuzione delle risorse, tuttavia, potrebbe dare respiro ad alcune regioni, generando perfino crescita economica.
La Banca Mondiale, tuttavia, vede di buon occhio l’applicazione di un prezzo sul consumo di acqua, proposta che inciderebbe negativamente sugli sforzi per il diritto umano al bene primario per la vita. L’organismo precisa che questa “tassa” si potrebbe istituire solo per i «grandi utenti commerciali» – escludendo i poveri – in modo da ripagare il costo della fornitura. Non è detto, però, che si possa impedire all’industria di scaricare il costo sul consumatore finale.