Prendendo spunto dalle piante, i ricercatori di Stanford hanno portato il fotovoltaico direttamente nell’acqua per trasformare la CO2 in prodotti chimici utili
(Rinnovabili.it) – Nei laboratori di Stanford la fotosintesi artificiale diventa “subacquae”. Un team di ingegneri è riuscito a migliorare sensibilmente la progettazione di fotoanodi resistenti alla corrosione, creando la prima cella solare capace di funzionare sott’acqua in maniera efficiente; invece di produrre elettricità da immettere in rete però, il dispositivo impiega l’energia prodotta per convertire la CO2 in “combustibile solare”. Il nuovo lavoro di ricerca, pubblicato in questi giorni sulla rivista scientifica Nature Materials, è stato condotto dallo scienziato dei materiali Paul McIntyre, il cui laboratorio si è affermato negli anni come un punto di riferimento per l’emergente settore della fotosintesi artificiale.
A differenza del processo naturale in cui l’energia solare è sfruttata per ottenere glucosio a partire da acqua e anidride carbonica, in quello artificiale il risultato a cui si mira sono combustibili come l’idrogeno o il metano.
Tuttavia fino ad oggi la fotosintesi artificiale ha dovuto affrontare due grandi sfide: le ordinarie celle solari in silicio ordinario in acqua si degradano, e quelle a prova di corrosione, non sono ancora in grado di catturare abbastanza luce sotto l’acqua per guidare le reazioni chimiche immaginate. La nuova ricerca condotta da McIntyre ha trovato il punto d’unione tra questi due problemi: i ricercatori hanno dimostrato come aumentare la potenza delle celle solari resistenti alla corrosione, stabilendo un record per la produzione di energia solare sott’acqua. “I risultati riportati in questo documento sono importanti perché rappresentano non solo un anticipo di quelle che possono essere le prestazioni delle celle di fotosintesi artificiale in silicio, ma anche perché stabiliscono le regole di progettazione necessarie per raggiungere prestazioni elevate per una vasta gamma di semiconduttori diversi, di strati di protezione contro la corrosione e di catalizzatori”, afferma McIntyre.
Per rendere il fotovoltaico “anticorrosione” più efficiente il team ha aggiunto uno strato di silicio carico tra l’ossido di titanio protettivo e la cella stessa. Il dispositivo risulta così costituito da diversi strati con differenti funzioni elettroniche. Lo strato di silicio attivo poggia sul fondo, assorbendo la luce solare e gli elettroni eccitanti. Sopra si trova “l’amplificatore” in biossido di silicio, che aumenta la tensione. In cima il biossido di titanio trasparente sigilla il sistema, evita la corrosione, e serve anche da conduttore. “Abbiamo raggiunto la resistenza alla corrosione e la produzione di energia necessaria per il sistema. Entro cinque anni, avremo sistemi completi di fotosintesi artificiale che convertono i gas serra in combustibile.”