Costano 5 miliardi di euro, ma l’energia prodotta dagli inceneritori basterà appena per tenerli accesi. Secondo il M5S si tratta di un business perdente
(Rinnovabili.it) – Gli inceneritori sono la risposta peggiore che l’Italia può dare al problema dei rifiuti che la attanaglia da tempo, impedendole di soddisfare gli standard europei. È la tesi emersa in una conferenza stampa tenuta ieri a Roma dal Movimento 5 Stelle, in vista dell’incontro tra il governo e le Regioni, 10 delle quali dovrebbero ospitare questi 12 nuovi impianti.
«È ormai lampante che la combustione dei rifiuti sia una tecnologia onerosa e poco efficiente per la produzione dell’energia necessaria a soddisfare il fabbisogno elettrico – spiega la nota stampa conclusiva – Infatti, da evidenze scientifiche e tecniche, la produzione elettrica è in massima parte rimessa nell’impianto di incenerimento per il sostanziale mantenimento energetico dell’impianto stesso o degli impianti della filiera che preparano il combustibile».
I costi dello smaltimento dei rifiuti tramite incenerimento, spiegano però i 5 Stelle, non sono sostenuti attraverso la produzione di energia elettrica, ma sono foraggiati dagli enti governativi e territoriali sotto la forma di incentivi, attraverso pagamento maggiorato dell’elettricità prodotta per 8 anni (CIP6) o riconoscimento di «certificati verdi» che il gestore dell’impianto può rivendere per 12 anni.
La decisione del governo Renzi prevede una spesa di circa 5 miliardi di euro in 5 anni, e la Conferenza Stato-Regioni di oggi serve per convincere i governatori contrari (tutti) che gli inceneritori sono il tentativo di rispondere all’emergenza rifiuti: con una gestione in discarica del 40% dei rifiuti prodotti e una sanzione giornaliera da parte dell’Europa che inasprisce il problema, i termovalorizzatori diventano “infrastrutture strategiche”. Ecco perché Renzi e Galletti lavorano all’apertura di nuovi impianti. Una volta concluso il negoziato con le Regioni, l’incenerimento passerebbe da “attività di smaltimento” ad “attività di recupero”, catalizzando un flusso di incentivi che andrebbe a gravare sulle tasche pubbliche.
Ma l’Italia ha davvero una alternativa, ad oggi? Secondo i deputati pentastellati sì, esiste un ampio margine di manovra. Per dimostrarlo hanno presentato una proposta di legge che punta su alcune parole d’ordine quali:
– riduzione dei rifiuti
– riutilizzo
– divieto di incenerimento di materiali riciclabili
– responsabilità estesa del produttore
– tariffazione puntuale (più ricicli, meno paghi)
– graduale dismissione di inceneritori e discariche
– inasprimento delle pene per la gestione dei rifiuti non autorizzata.
Secondo Waste Strategy, il think tank sui rifiuti e il riciclo di Althesys, i vantaggi legati a un modello di gestione improntato al riciclo potrebbe creare fino a 195 mila nuovi posti di lavoro in pochi anni: «Rispettare le direttive europee sulla diminuzione dei rifiuti in discarica e sull’aumento della differenziata e del riciclo significa triplicare il numero degli addetti, aggiungendo al settore un’occupazione che vale in termini assoluti quanto tutti gli occupati di Enel nel mondo, secondo Waste Strategy.
«Il vantaggio economico complessivo può arrivare a sfiorare i 16 miliardi di euro», afferma Alessandro Marangoni, amministratore delegato di Althesys.