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CO2 sotto chiave

Nei giorni passati presso la centrale termoelettrica dell’ENEL di Cerano, vicino Brindisi, è stato inaugurato un impianto pilota per la cattura dell’anidride carbonica CO2 immessa nell’atmosfera dalla locale centrale termoelettrica; una delle strade per attenuare i mutamenti climatici dovuti al crescente uso dei combustibili fossili. Strano gas questa CO2, così importante per tutto il ciclo della vita sulla Terra, sostanzialmente innocuo (è proprio lui che rende frizzanti le acque in bottiglia e le bevande “gassate”), ma così fastidioso quando viene immesso in “eccessiva” quantità nell’atmosfera.

In quest’ultimo mezzo secolo la quantità di CO2 che viene immessa nell’atmosfera dalla combustione del carbone, dei prodotti petroliferi, del gas naturale e dalla produzione del cemento è superiore alla quantità che può essere portata via dall’atmosfera dai processi naturali di fotosintesi degli alberi e vegetali e dal contatto dell’atmosfera con l’acqua degli oceani. Si sta perciò verificando un aumento della concentrazione della CO2 nell’atmosfera, con conseguenti mutamenti climatici e riscaldamento planetario. Se ne preoccupano i governanti perché prevedono di dover spendere moltissimi soldi per ricostruire le zone devastate da frane e alluvioni, e per risarcire i proprietari degli edifici distrutti e dei terreni non più coltivabili. Per questo motivo gli organismi internazionali hanno deciso di intraprendere azioni per diminuire le emissioni di anidride carbonica da parte delle industrie, del traffico e delle città, attualmente circa 30 miliardi di tonnellate all’anno nel mondo, circa mezzo miliardo di tonnellate all’anno nella sola Italia. Chi non riesce a diminuire le sue emissioni di anidride carbonica deve pagare delle multe salate che ammontano, a livello globale, a centinaia di miliardi di euro all’anno.

Si capisce bene che tutti gli inquinatori si diano da fare alla ricerca di processi per diminuire le emissioni, o per filtrare l’anidride carbonica, dai camini delle fabbriche e delle centrali, o dai tubi di scappamento delle auto. Nell’ambito di questo impegno l’ENEL ha deciso di sperimentare la “cattura” di una parte dei 15 milioni di tonnellate di CO2 che vengono immesse nell’atmosfera ogni anno dalla centrale termoelettrica a carbone di Brindisi-Cerano. Il sistema appena inaugurato è basato su un processo noto da tempo: vi sono alcune sostanze che assorbono l’anidride carbonica anche quando è molto diluita; fra queste varie ammine alifatiche.

Nell’impianto sperimentale di Brindisi una parte dei fumi di combustione, contenenti circa il 15 % di CO2, è portata a contatto con le ammine che assorbono la CO2; la soluzione risultante viene poi scaldata in modo da liberare la CO2 gassosa in forma concentrata e da rimettere in ciclo le ammine. L’impianto sperimentale è in grado di “filtrare” dai fumi circa ottomila tonnellate all’anno di anidride carbonica, per ora lo 0,05 percento di tutte le emissioni annue della centrale. A questo punto si presentano vari problemi: dove mettere questa CO2 ? Il primo pensiero che viene in mente è di immetterla nei mari e negli oceani, dal momento che la CO2 gassosa è ben solubile in acqua; si tratta di vedere quanto a lungo l’anidride carbonica può restare negli oceani prima di tornare gassosa nell’atmosfera. Qualcuno ha proposto di immetterla a 1000 metri di profondità negli oceani; la pressione dell’acqua sovrastante la pressione dell’acqua sovrastante dovrebbe tenere la CO2 allo stato liquido stratificata sul fondo, per tempi lunghi; per ora è un’idea.

La proposta che sembra di più facile attuazione consiste nel deposito della CO2 nelle grandi caverne sotterranee, nelle quali in passato si trovava il metano. Qui la CO2 potrebbe restare per tempi lunghi anche se nessuno sa esattamente quanto; in Italia ci sono giacimenti di metano esauriti a Cortemaggiore nella Valle Padana e in altre zone; l’anidride carbonica filtrata, per esempio, a Brindisi o in altre centrali, potrebbe essere trasportata allo stato liquido mediante camion o treni o gasdotti, fino al Nord, poi immessa nelle caverne vuote.

Altro problema importante è passare dalla filtrazione della CO2 da 8000 tonnellate all’anno, come oggi, a centinaia di migliaia o milioni di tonnellate all’anno, e questo è il passo successivo che dovrebbe essere sperimentato nella centrale di Porto Tolle, nel delta del Po: importante comunque è cominciare e questo è stato fatto.