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Nucleare: futuro o passato?

Sabato 9 aprile, presso la biblioteca Fabrizio Giovenale a Roma, si è svolto un interessante confronto dal titolo “Nucleare: futuro o passato?” fra il fisico Gianni Mattioli, l’astrofisica Margherita Hack e Marco Bersani, promotore del referendum. La Hack ha sostenuto che bisogna dare il massimo sviluppo alle energie rinnovabili ma, per far fronte al grande bisogno di energia del mondo, non si può fare a meno del nucleare abbandonandolo alla prima difficoltà, continuando la ricerca sulla fusione nucleare. E’ questo un atteggiamento tipico della scienza moderna, che non possiamo non ritrovare anche in uno dei suoi più prestigiosi esponenti: concentrarsi sulle risposte alla crescita dei consumi energetici, senza chiedersi a cosa serve questa energia, “preoccuparsi di come tenere acceso il fornello, senza preoccuparsi di cosa bolle in pentola”, come ha efficacemente detto Gianni Mattioli. Prima di pensare alle fonti energetiche dobbiamo chiederci se è utile al progresso, e soprattutto se è possibile, un percorso di crescita dei consumi come quello intrapreso nell’ultimo secolo dall’umanità. Nel mondo nel 2008 sono stati utilizzati 12,267 Gtep di energia primaria(IEA, _Key World Energy Statistics,_ 2010); al ritmo di crescita degli ultimi 30 anni, circa il 2% annuo, nel 2050 consumeremo 28 Gtep; detto così non sembra un gran problema. Ma se sommiamo anno dopo anno tutta l’energia che consumeremo da oggi fino al 2050, otterremo la strabiliante quantità di 849 Gtep, e vi assicuro che è veramente molto, ma molto difficile trovare sul nostro pianeta tutta questa energia; essa è superiore a quanto possono fornire le risorse oggi accertate di carbone, petrolio, gas e uranio. Minimo continuerebbe ad essere il contributo del nucleare (oggi pari al 5,8%). Spostare l’attenzione dal come alimentare il fornello a cosa bolle in pentola, come ci ha invitato a fare Mattioli, significa cercare di capire se tutta questa energia effettivamente ci consentirà di garantire il benessere desiderato a tutta l’umanità. Allora vi invito a riflettere che usare energia significa in termini fisici compiere un lavoro, cioè operare delle trasformazioni sull’ambiente; nell’economia consumista ciò significa estrarre e trasformare delle risorse e poi rapidamente disperderle come rifiuti. Vi invito a pensare allora al numero di trasformazioni che potreste operare nella vostra casa per vivere meglio; arriverete a qualche decina di azioni. Farne di più significherebbe peggiorare e non migliorare la situazione. Se davvero consumeremo gli *850 Gtep previsti*, ci troveremo nel 2050 con un pianeta devastato dai cambiamenti climatici, senza più petrolio né uranio, forse con ancora un po’ di gas e di carbone, sicuramente con montagne di rifiuti da smaltire. Se questa è la prospettiva, a poco serve confidare che la ricerca nel frattempo ci dia l’energia eterna e pulita, perché il percorso economico ci porterebbe comunque di fronte all’esaurimento della capacità della biosfera di assorbire le trasformazioni conseguenti ad una crescita illimitata dei consumi. E’ questo lo scenario in cui inquadrare ogni altra considerazione sul nucleare.

L’unica via di uscita è utilizzare energia rinnovabili in un sistema che, come con sempre maggiore efficienza evolutiva, da oltre 3 miliardi di anni fa la biosfera, non produca scarti e distribuisca benessere all’intera umanità attraverso l’adattamento delle scelte tecnologiche alle diverse realtà locali. Nel dibattito di sabato qualcuno ha sollevato la questione che le energie rinnovabili hanno bassissimi rendimenti e bassa potenza; questo è un grande equivoco dal quale uscire. Ciò che in un sistema costruito su misura per fonti energetiche trasportabili, come i combustibili fossili e l’uranio, che richiedono per ottenere alti rendimenti di trasformazione impianti centralizzati di alta potenza, in un sistema che valorizzi l’efficienza degli usi finali di energia diviene un pregio: la quasi totalità degli usi finali di energia sono di bassa potenza, sono costituiti da calore, forma energetica poco trasportabile, e quindi perfettamente adatti alle fonti rinnovabili.
Ma per passare ad un sistema energetico adatto alle rinnovabili e soprattutto per superare il consumismo verso una economia sostenibile in grado di produrre benessere per tutti e per sempre, occorrono grandi trasformazioni tecnologiche e politiche che richiedono tempo: può il nucleare essere una fonte pulita, che non danneggia il clima e poco costosa, per la transizione?
In uno studio di *Manfred Lenzen,* della Sidney University (Science Direct, 8/4/2008), considerando solo l’estrazione dell’uranio dalle miniere e la sua trasformazione per essere utilizzato nelle centrali, su ogni kWh nucleare oggi gravano circa 130g di CO2eq. Il progressivo esaurimento delle miniere ad alta concentrazione di uranio porterà fra pochi decenni le emissioni attribuibili al KWh nucleare a superare quelle dei combustibili fossili. Per quanto riguarda i costi, il nucleare oggi appare leggermente conveniente rispetto alle altre fonti solo perché la maggior parte dei costi della filiera, della chiusura dei vecchi impianti e della sicurezza se li accollano i governi (cioè i cittadini), cme ha fatto rilevare nell’incontro Marco Bersani, compresi i costi di risanamento dopo gli incidenti; inoltre nessuno ha ancora potuto stimare i costi di stoccaggio finale delle scorie per centinaia di migliaia di anni, perché non esiste ad oggi una soluzione.

E cosa dire della sicurezza, dopo i drammatici fatti ancora in corso a Fukushima?
I maggiori incidenti negli impianti nucleari sono stati generati da errori umani di sottovalutazione o da fattori esterni non previsti…lo tzunami dopo il terremoto che blocca i circuiti di raffreddamento….possiamo pensare ad operatori addetti al controllo che non sono lucidi mentalmente e al loro posto per la paura del terremoto…e la centrale va fuori controllo e la scienza della sicurezza non serve più a nulla….e nella disperazione tutto viene affidato all’improvvisazione. E qui emerge un altro fattore critico di questa tecnologia: la necessità di tenere sotto controllo un processo in grado di produrre temperature di migliaia di gradi per limitarlo ai 300°C necessari ad azionare le turbine per la produzione di elettricità. Il reattore nucleare non si spegne come una normale centrale a combustibile fossile; si può controllare fino a tenere basse le reazioni atomiche, ma in qualsiasi istante se ne perda il controllo, anche un reattore definito “spento” riprende spontaneamente a scaldarsi fino a migliaia di gradi.
La fede nella tecnologia che tale impresa richiede fa un po’ rabbia e un po’ tenerezza per la sua dose di inevitabile ingenuità da parte degli addetti alle centrali, che parlano come vocati al culto del “dio sole”. Fa orrore quando la “divinità tecnologica”, come molte religioni anche nel presente, richiede, anzi cinicamente prevede, i suoi kamikaze, il sacrificio della vita umana. Fa rabbia se si pensa che l’oggetto finale dell’impresa è mantenere un modo assurdamente complesso e pericoloso per lo scopo banalissimo di produrre vapore a 300°C…un po’ come uccidere le zanzare a fucilate.
Fa rabbia vedere politici sciocchi e ignoranti che, per i loro meschini ed a volte inconfessabili interessi di parte, trattano con leggerezza e cinismo questi argomenti e questi fatti drammatici, e dopo aver destinato per decenni la maggioranza dei fondi della ricerca al nucleare, senza risolvere i suoi più gravi problemi, oggi minacciano di troncare drasticamente il sostegno alle energie rinnovabili, di gran lunga inferiore a quello che viene dato in varie forme, non solo al nucleare, ma anche alle fonti fossili di energia.