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Unirima: il grido di allarme dai riciclatori della carta

Tra mercati saturi, esportazioni bloccate e carenza di cartiere, il comparto rischia la paralisi completa.

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Il settore del riciclo della carta è schiacciato da una crisi che sembra inarrestabile e che sta mettendo in ginocchio i gestori degli impianti di trattamento rifiuti che producono la materia prima secondaria (MPS) derivante dalle raccolte differenziate di carta e cartone conferite sia dai Comuni (come rifiuti urbani), che da attività commerciali, artigianali, industriali e terziarie (come rifiuti speciali). Per fare il punto sulla difficile situazione e raccogliere la testimonianza da uno degli operatori più informati nel settore, abbiamo incontrato l’ing. Francesco Sicilia, direttore generale di UNIRIMA, Unione Nazionale Imprese Recupero e Riciclo Maceri.

 

Ing. Francesco Sicilia, il settore del riciclo della carta è un fiore all’occhiello nel nostro Paese, perché?

Il nostro settore si basa su una rete di impianti di recupero/riciclo distribuita in modo capillare su tutto il territorio nazionale ed ha un’elevata capacità di trattamento dei rifiuti di carta e cartone finalizzati alla produzione di materia prima secondaria (MPS).

Basilare, poi, è il ruolo degli imprenditori che fanno commercio di carta da macero e che hanno garantito le esportazioni in questi anni consentendo all’Italia di decollare con le raccolte differenziate e di diventare leader nel settore del riciclo della carta.

Basti pensare che il nostro Paese ha già superato, con 15 anni di anticipo, gli obiettivi di riciclo degli imballaggi introdotti dalla nuova direttiva 2018/852.

 

Ma allora quali sono le cause della crisi del settore?

La crisi, non solo italiana ma di tutto il comparto europeo, è determinata da due fattori: l’insufficiente capacità ricettiva delle cartiere ed il crollo delle esportazioni. In sintesi, l’offerta di materia prima secondaria (MPS), grazie all’incremento continuo delle raccolte differenziate, supera di gran lunga la domanda interna.

In pratica l’industria cartaria, italiana ed europea, deputata a riceve tali materiali in Europa non è in grado di soddisfare l’offerta ed i paesi emergenti come Cina, Indonesia e India stanno ostacolando le importazioni di questi materiali dai paesi occidentali, inoltre la guerra dei dazi tra Cina e America ha complicato ulteriormente gli scambi commerciali.

 

Francesco Sicilia
Francesco Sicilia, direttore generale di UNIRIMA

 

Ci faccia capire meglio, quali i dati della crisi?

In Italia ogni anno si producono oltre 6,6 milioni di tonnellate di carta da macero (circa 13 tonnellate/minuto), più della metà di tale materia prima secondaria proviene dalle raccolte differenziate di carta e cartone delle attività commerciali, artigianali ed industriali, sono quindi rifiuti speciali, mentre il resto, pari a circa 3,5 milioni di tonnellate, proviene dai rifiuti urbani. Una parte della carta in uscita dagli impianti di recupero/riciclo è destinata alle cartiere italiane (circa 4,8 milioni di tonnellate) mentre il resto – pari circa il 30% rappresenta il surplus – rispetto al fabbisogno interno delle cartiere e va in esportazione. Questo è quello che accade da oltre 15 anni e tale surplus, arrivato ad oltre 1,9 milioni di tonnellate nel 2018 (circa 3 tonnellate/minuto), è stato finora assorbito principalmente dalla Cina (circa il 60%) e da altri paesi asiatici.  In Europa il surplus di carta è circa 9 milioni di tonnellate.

Recentemente la Cina ha praticamente chiuso le esportazioni ed il contraccolpo sul settore è stato devastante: molte tipologie di carta da macero non trovano più una negoziazione o la trovano a valori residuali, basti pensare che il prezzo medio del cartone è crollato in un anno di quasi il 90%!

 

A cosa è dovuto il blocco di importazioni della Cina?

Le nuove politiche restrittive introdotte dal governo cinese dal luglio 2017 e la guerra commerciale con gli Usa hanno portato, in pratica, alla chiusura delle importazioni di carta da parte della Cina, nazione che fino al 2016 ne importava circa 30 milioni di cui circa 9 dall’Europa ed oltre un milione dall’Italia. Tutto ciò malgrado noi esportassimo in Cina una materia prima secondaria carta di grande qualità. Inoltre, è opportuno ricordare che il principale esportatore di carta in Cina erano gli USA (oltre il 30%) e con la chiusura delle importazioni da parte della Cina tale materiale americano è stato dirottato su altri mercati contribuendo a causarne la saturazione.

A questo ora si aggiunge il recente effetto del Coronavirus sul residuale e limitatissimo mercato cinese rimasto in piedi.

 

Quindi è ancora una volta la Cina a giocare da ago della bilancia sui sistemi economici globali?

Non completamente. Certo è che tutto ciò non solo sta determinando un crollo dei prezzi della carta ma anche un effetto distorsivo sul mercato interno.

 

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Quali sono tali effetti distorsivi?

Per decenni le nostre imprese hanno creato valore dal recupero dei materiali e questo valore è stato distribuito nella filiera, fino al produttore del rifiuto, che si è visto riconoscere un corrispettivo economico per la cessione del rifiuto piuttosto che essere costretto a pagare come avveniva per le altre tipologie di rifiuti.

Oggi non ci sono più le condizioni perché ci sia un riconoscimento economico per il produttore, che dovrebbe invece sostenere i costi per la gestione di questo rifiuto e sta accadendo che produttori di rifiuti speciali riciclabili, che prima avevano un ritorno economico grazie ai prezzi di mercato favorevoli, stanno rinunciando ai contratti con gli operatori di mercato e gli impianti di destinazione autorizzati al trattamento dei loro rifiuti, per far confluire i loro rifiuti nella raccolta comunale attraverso i gestori del servizio pubblico di raccolta. Essendo rifiuti di imballaggio terziari e secondari, fuori quindi dal perimetro della privativa comunale, questo non dovrebbe assolutamente accadere. A ciò si aggiunge che tali rifiuti speciali, anziché essere a carico del produttore, potrebbero ricevere dai consorzi di filiera (in questo caso Comieco) il corrispettivo per la raccolta che sarebbe non dovuto.

Unirima sta cercando di far emergere le incongruenze del sistema ai livelli istituzionali interessati, dato che questo fenomeno sottrarre risorse alle raccolte differenziate dei cittadini, danneggia ulteriormente il mercato e fa perdere la tracciabilità dei rifiuti speciali in quanto, come è noto, i rifiuti urbani possono viaggiare anche senza formulario di identificazione del rifiuto.

 

Quindi i rifiuti speciali vengono a volte scambiati per rifiuti urbani?

In effetti Il nostro comparto rischia adesso di essere schiacciato per la perdita di importanti quote di mercato, a causa dei sempre più frequenti casi di spostamento di rifiuti speciali all’interno del circuito dei rifiuti urbani. Ciò comporta il trasferimento degli oneri di gestione dei rifiuti speciali verso gli urbani che ricevono i corrispettivi dei consorzi di filiera del Conai e quindi, in definitiva, a carico della collettività.

 

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Avete individuato delle soluzioni a questa situazione?

Unirima sta da mesi ponendo all’attenzione delle Istituzioni, e dell’opinione pubblica, la grave situazione del nostro comparto industriale. Lo abbiamo denunciato anche nel comunicato stampa dello scorso 22 gennaio, dopo gli Stati Generali organizzati a Bologna.

Occorre dire con chiarezza che l’economia circolare, in quanto produttrice di materie prime secondarie, necessità di un mercato globale senza il quale, nonostante gli incrementi della capacità interne delle cartiere, le filiere del riciclo rischiano il collasso.

Pertanto l’export è un elemento fondamentale ed imprescindibile.

Gli impianti che trattano rifiuti li riciclano per ottenere una materia prima secondaria. Quest’ultima è un prodotto, e come tale va sul mercato, e non può e non deve avere barriere commerciali come quelle imposte dalla Cina.

Noi importiamo quotidianamente beni che vengono prodotti in altri Paesi e che arrivano da noi con gli imballi necessari al confezionamento e al trasporto. E’ evidente che per chiudere il ciclo, tali flussi di materiali dovrebbero ritornare al luogo di produzione per essere destinati a nuova vita. Quindi è necessario garantire l’export e che gli Stati di produzione degli imballaggi riprendano la loro quota di immesso sul nostro mercato.

Occorre pertanto fermare l’applicazione di restrizioni commerciali alle esportazioni per ripristinare un accesso libero ed equo ai mercati internazionali necessario per bilanciare domanda e offerta.

E’ fondamentale inoltre un controllo ed una maggiore attenzione verso fenomeni di assimilazione assolutamente non legittimi.

Se la politica industriale vuole veramente puntare sull’economia circolare e sulla sostenibilità dovrebbe supportare con più decisione il settore industriale del recupero di materia dai rifiuti.

 

>>Leggi anche Riciclo carta e cartone: l’Associazione UNIRIMA riferimento per il settore<<