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Giornata Internazionale Mar Mediterraneo: mare di pace, mare caldo

Il mare nostrum custodisce dal 4 al 12% della biodiversità del Pianeta. Ma è anche un hotspot della crisi climatica. Due progetti di ISPRA e Greenpeace mirano a tutelare il Mediterraneo e supportare politiche di mitigazione e adattamento efficaci

Giornata Internazionale Mar Mediterraneo: mare di pace, mare caldo
Foto di Joshua Kettle su Unsplash

L’8 luglio si celebra la Giornata internazionale del mar Mediterraneo

Il mare nostrum è uno scrigno di biodiversità. Copre appena l’1% della superficie dei mari del Pianeta, ma ospita più di 12mila specie marine. Cioè tra il 4 e il 12% della diversità biologica mondiale. Ma il Mediterraneo è anche un hotspot della crisi climatica, dove la temperatura globale aumenta più rapidamente che nel resto del Pianeta. Una tendenza che ha impatti significativi sulla vita e gli ecosistemi marini, e che si somma ad altri fattori antropici di disturbo, come l’inquinamento e la pesca eccessiva. Sono i temi al centro della Giornata internazionale del mar Mediterraneo, che si celebra oggi, 8 luglio.

Insieme a un altro, quello della pace. Quest’anno la ricorrenza, istituita nel 2014, ha come filo conduttore quello del “Sea of Peace”, un mare di pace. Con un riferimento sia alle guerre che si stanno svolgendo lungo le coste mediterranee, dall’Ucraina a Gaza, sia alle morti dei migranti che tentano di raggiungere l’Europa dalla sponda nordafricana.

Giornata internazionale del mar Mediterraneo: l’impegno di ISPRA

A tutelare gli ecosistemi del mare nostrum è dedicato il progetto MER (Marine Ecosystem Restoration) guidato dall’ISPRA e finanziato con fondi del PNRR. Si tratta di un laboratorio per mappare, ripristinare e proteggere uno degli ecosistemi marini più ricchi – e fragili – del nostro pianeta con l’obiettivo di salvaguardarne la biodiversità.

Il progetto ha già mosso i primi passi. La fase iniziale prevede la mappatura degli habitat costieri grazie al sensore LiDAR. L’obiettivo è tracciare i fondali marini su 7.500 km di costa, censendo oltre 70 montagne sottomarine e indagando aree remote e sconosciute. Cioè le aree dove insistono le praterie di Posidonia oceanica e Cymodocea nodosa, specie essenziali per l’equilibrio dell’ecosistema marino. I dati raccolti serviranno per supportare il processo decisionale dei governi locali per la protezione degli habitat e delle specie marine di interesse conservazionistico.

Il Mediterraneo è un “Mare Caldo”

Tutela sistematica che appare sempre più urgente alla luce degli effetti del riscaldamento globale sulla regione e sugli ecosistemi marini in particolare. A raccogliere i dati su cosa sta succedendo sotto la superficie del mare nostrum è dedicato il progetto Mare Caldo portato avanti da Greenpeace e il DISTAV dell’Università degli Studi di Genova.

Nelle 12 aree di studio italiane che partecipano al progetto, di cui 11 sono in aree marine protette (AMP), sono “evidenti” gli effetti del riscaldamento dell’acqua, “indipendentemente dalla localizzazione geografica e dal diverso livello di protezione ambientale”, spiega l’ong in un rapporto presentato in occasione della Giornata internazionale del mar Mediterraneo. A subire di più l’impatto della crisi climatica è l’ecosistema marino dell’Isola d’Elba, l’unica area non protetta tra quelle monitorate dal progetto Mare Caldo: “qui le comunità di scogliera sono infatti fortemente dominate da alcune specie e risultano essere meno resilienti alle conseguenze del cambiamento climatico”. Il monitoraggio ha evidenziato anche sbiancamenti diffusi a Capo Milazzo e alle isole Tremiti sulle alghe corallinacee incrostanti e sui madreporari Cladocora coespitosa e Astroides calycularis.

Mentre si registrano presenze sempre più stabili e massicce di specie marine tipiche di acque più calde, come il pesce pappagallo (Sparisoma cretense), il barracuda mediterraneo (Sphyraena viridensis) e il vermocane (Hermodice carunculata), le specie di alghe verdi Caulerpa cylindracea e Caulerpa taxifolia.

“La mitigazione e la corretta gestione delle pressioni locali rappresentano le migliori strategie per aumentare la resilienza degli ecosistemi marini costieri”, afferma Giuseppe Ungherese di Greenpeace. “Laddove non esiste una protezione formale, come nel caso della stazione dell’Isola d’Elba, gli effetti negativi delle anomalie termiche sono ancora più evidenti. Tuttavia, anche le aree protette soffrono il riscaldamento delle acque marine, a riprova che se vogliamo salvare gli ecosistemi marini la riduzione delle emissioni di gas serra per contrastare la crisi climatica non è più rinviabile”.

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