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Sviluppo e clima: due facce della stessa medaglia

Hedegard: “Quando si cerca di creare sviluppo bisogna pensare al contesto dei cambiamenti climatici”

Come affrontare i cambiamenti climatici nell’ottica degli aiuti allo sviluppo? E’ stata questa la domanda che ha animato il confronto tra la commissione parlamentare per lo Sviluppo (DEVE)Connie Hedegaard, Commissario per l’azione climatica, che si è svolto una settimana fa al Parlamento europeo di Bruxelles. La questione, ben lungi dall’essere approdata ad una soluzione definitiva prende anzi le forme di un dibattito aperto e anche un po’spinoso, vertendo sulle modalità di finanziamento nell’ambito della tutela del clima  e l’impegno preso da ciascun Stato Membro nel destinare lo 0,7%  del reddito nazionale lordo agli Aiuti pubblici allo sviluppo (APS). Come conciliare i due urgenti compiti che l’Europa si trova davanti e rendere ancora più efficace cooperazione tra i due settori?

 

Secondo Connie Hedegaard «la sfida che si presenta oggi è doppia con 1,3 miliardi di persone che vivono in condizioni di estrema povertà rispetto al reddito e gli effetti del cambiamento climatico che si fanno già sentire con un aumento dei disastri naturali, la scarsità di acqua e le conseguenze in campo alimentare». Ribadendo come l’assistenza allo sviluppo e quella legata al clima siano strettamente collegate, e come non debbano essere messi in concorrenza, la Hedegaard insiste sull’importanza di inserire considerazioni relative al cambiamento climatico in tutte le politiche interne degli Stati membri ma anche nelle strategie di sviluppo. L’esempio che riporta è semplice quanto efficace:  basti pensare ad un villaggio della Tanzania nel quale si costruisce una scuola istallando pannelli solari che la rendano energeticamente efficiente, portando vantaggi alla struttura, al villaggio e chiaramente  agli studenti che la frequentano. E’ una strategia positiva , un modus pensandi che non presuppone una netta settorializzazione dei due ambiti. «Quando si cerca di creare sviluppo bisogna pensare al contesto dei cambiamenti climatici» dice la Hedegaard. Ecco allora che una delle esigenze è quella rafforzamento della resilienza agli impatti dei cambiamenti climatici e delle catastrofi naturali, ovvero la capacità di dar sostegno alle popolazioni più vulnerabili per far fronte a catastrofi naturali. «Noi –spiega la Hedegaard- con il collega Andris Piebalgs, Commissario per lo Sviluppo, cerchiamo strumenti insieme per creare questa resilienza. Un esempio è l’energia in Africa. Per sradicare la povertà è necessaria oggi garantire un accesso all’energia che però deve necessariamente essere sostenibile. Cerchiamo di confrontarci condividendo le nostre conoscenze».

 

Charles Goerens, eurodeputato PPE che fa parte della Commissione DEVE, ritiene che i due settori – quello della politica del cambiamento climatico e quello della cooperazione internazionale – debbano restare paralleli ma non uniti a livello di finanziamenti, così come Ricardo Cortez Lastra (S&D) mantenendo tuttavia la collaborazione tra i due.

I prossimi saranno anni di importanti cambiamenti, se non altro attesi: dagli obiettivi fissati a Rio +20, tra cui le azioni per una green economy, fino all’accordo sul quadro finanziario pluriennale che fissa le priorità di bilancio dell’UE per il periodo 2014-2020, e per il quale sarà necessario l’accordo finale con il Parlamento. A livello di finanziamenti, inoltre la questione si complica:  dal pacchetto di 100 miliardi di dollari entro il 2020 per aiutare i Paesi in via di sviluppo stabilito durante la conferenza di Doha, all’esempio di singoli stati membri come la Francia che aveva parlato di voler destinare una quota parziale della tassa sulle transazioni finanziarie all’aiuto allo sviluppo. Nel 2005 gli Stati membri dell’UE si sono impegnati ad accrescere l’aiuto pubblico allo sviluppo (APS) fino allo 0,7% del reddito nazionale entro il 2015 , obiettivo da poco ribadito. Per la Hedegaard questo non può essere una precondizione per raggiungere ulteriori obiettivi sul clima poiché la realtà è che l’unione europea non è ancora arrivata a questo 0,7%, ma anzi, molti Stati membri che solitamente riuscivano a raggiungere quella soglia ora non riescono più a farlo. Oggi più che mai sarebbe dunque necessario un maggiore coinvolgimento del settore privato nel finanziamento di entrambi i settori.