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Worldwatch Institute: sempre più RSU nel mondo

Industrializzazione, urbanizzazione e reddito i fattori che, da qui al 2025, faranno raddoppiare da 1,3 a 2,6 miliardi di tonnellate all’anno la quantità di rifiuti solidi urbani prodotta a livello mondiale

(Rinnovabili.it) – Una sfida impervia, quella per l’ambiente e la salute di chi vive nelle città, scatenata dall’aumento crescente dei rifiuti solidi urbani (RSU), il cui volume potrebbe raddoppiare ogni anno da qui al 2025. Secondo una nuova ricerca condotta dal Worldwatch Institute e basata sulle attuali proiezioni, infatti, da oggi in poi i miliardi di tonnellate di rifiuti prodotti annualmente potrebbero passare da 1,3 a 2,6. Stando a quanto sostenuto dagli autori dello studio, l’aumento dei volumi e la qualità dei RSU sarebbero due fenomeni strettamente legati ai livelli di urbanizzazione e di reddito: in termini di quantità prodotte, i leader sarebbero i 34 Paesi industrializzati appartenenti all’OCSE, con 1,6 milioni di tonnellate prodotte al giorno, in una posizione diametralmente opposta rispetto a quelli dell’Africa sub-sahariana, responsabili di circa 200.000 tonnellate quotidiane (praticamente un ottavo di quelle imputate all’OCSE); ma nella top ten stilata dallo studio ci sono anche 4 nazioni in via di sviluppo (Brasile, Cina, India e Messico), con significative quantità di RSU prodotte a causa dell’alto tasso di urbanizzazione e dell’adozione di stili di vita orientati a un alto consumo. Anche sul piano della qualità degli RSU, è netta la distinzione tra chi è ricco e vive in città, che deve gestire una quota crescente di materiali inorganici nel flusso dei rifiuti (come plastica, carta e alluminio), e le zone rurali, caratterizzate invece da un’alta percentuale di materia organica prodotta.

Il riciclaggio

Circa un quarto della spazzatura prodotta in tutto il mondo viene riciclato, compostato o “digerito” e anche in questo caso i tassi variano da Paese a Paese. Nei Paesi più industrializzati, la quota di RSU riciclata è cresciuta nel corso degli anni, così com’è accaduto negli Stati Uniti, per esempio, dove i rifiuti riciclati sono passati da un 10% del 1980 al 34% del 2010. Certo è, poi, che il crescente interesse per il recupero dei rifiuti è legato anche ai cambiamenti che hanno interessato il mercato di chi li gestisce al quale, secondo stime dell’UNEP, si può attribuire un fatturato di circa 400 miliardi di dollari all’anno. Nonostante i traguardi raggiunti, però, per diventare veramente sostenibile, il settore dei rifiuti dovrebbe più che triplicare il livello di riciclaggio attuale e seguire le linee guida della cosiddetta “circular economy”, un modello diventato per il Giappone una priorità nazionale già dai primi anni 90, la cui logica mira a ridurre l’uso di certi materiali e ad aumentare il recupero di altri. I vantaggi sarebbero più che tangibili: così come stimato dall’Environmental Protection Agency, gli 8 milioni di tonnellate di metalli riciclate negli Stati Uniti avrebbero abbattuto più di 26 milioni di tonnellate di gas a effetto serra, come se fossero state rimosse dalla strada 5 milioni di auto per un anno; ogni tonnellata di carta riciclata, poi, riesce a salvare 17 alberi e a risparmiare l’equivalente dell’energia impiegata per produrla (165 galloni di carburante), oltre che a richiedere la metà dell’acqua.