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Cumuli di plastica nell’UE dopo il no della Cina ai rifiuti esteri

L’Europa deve ancora trovare un modo per gestire i rifiuti respinti dal mercato del riciclo cinese. L’opzione termovalorizzatori diventa sempre più probabile

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Dopo pochi mesi dal taglio delle importazioni cinesi in Europa è già emergenza plastica

(Rinnovabili.it) – Sulla carta l’Unione Europea possiede il miglior piano di economia circolare che possa esistere al mondo: obiettivi ambiziosi, normative stringenti e una lunga lista di buone pratiche da implementare su riciclo e uso delle risorse (leggi anche Ok al Pacchetto economia circolare: riciclo al 65% entro il 2035). Nella realtà, tuttavia, si trova fra le mani un problema da 25,8 milioni di tonnellate. A tanto ammonta, infatti, il peso dei rifiuti di plastica prodotti ogni anno in Europa. Di questi, oggi, solo il 31 per cento viene raccolto e avviato a riciclo, con la non piccola particolarità che a recuperare la plastica non sono tanto gli impianti comunitari quanto quelli cinesi. Cosa succederebbe, dunque, se il gigante asiatico decidesse di non voler più la spazzatura occidentale? Che da un giorno all’atro l’UE si ritroverebbe con cumuli di plastica da gestire.

 

Questo è esattamente quello che sta accadendo in Europa dopo l’entrata in vigore del veto annunciato lo scorso anno da Pechino (Leggi anche La Cina inquinata chiude le frontiere ai rifiuti esteri). Le spedizioni di rifiuti verso la Repubblica popolare si sono ridotte di oltre la metà in questi mesi e, nonostante altri Paesi, come Malesia, Vietnam e India, abbiano aumentato le importazioni della plastica usata europea, il Blocco si trova oggi a gestire un problema considerevole.

 

Parte dell’eccedenza è accumulata in depositi temporanei, dai cantieri ai porti, in attesa che si aprano nuovi mercati per il recupero. Ma questa sorta di magazzini improvvisati costituisce una minaccia per la sicurezza a causa della facile infiammabilità dei rifiuti. Il riciclo, quello interno, è frenato da diversi fattori, tra cui la mancanza di impianti e le condizioni stesse della plastica, spesso sporca e non ordinata per tipologia di polimero.

È facile immaginare che, in un continente dove le discariche sono, giustamente, limitate per legge, la prima soluzione presa in esame per risolvere possa essere la termovalorizzazione.

 

Negli ultimi anni l’Europa ha favorito la costruzione impianti che bruciano rifiuti per produrre elettricità o calore, nonostante il nuovo pacchetto circular economy abbia cercato di mettere dei paletti a questa opzione: sono previsti alti tassi di incenerimento con recupero energetico solo per quei rifiuti non riciclabili. Ma ora che effettivamente la Cina non accetta più la spazzatura europea (oltre alla plastica, il paese ha vietato l’importazione di una cinquantina di rifiuti) qualsiasi scarto, senza un impianto idoneo al trattamento e recupero potrebbe essere considerato come “non riciclabile”.

 

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