Alcuni grandi gruppi vedono il patto sul clima raggiunto alla COP 21 come un successo, ma per molti è un accordo dei ricchi sulla pelle dei più poveri
(Rinnovabili.it) – Come sempre, qualcuno la vede in positivo, qualcun altro meno. L’accordo sul clima divide le ONG che hanno seguito il negoziato alla COP 21 di Parigi. Fa piacere a molti che sia stata inserita la soglia di 1,5 °C – anche se in maniera abbastanza simbolica – nel testo finale. Questo, concordano, dovrebbe spingere l’industria a velocizzare la transizione verso una economia a basse emissioni di carbonio, che contempli una quota crescente di energie rinnovabili e un abbandono dei combustibili fossili. Chi deve rammaricarsi, come sempre in passato, sono i difensori delle popolazioni indigene e dei Paesi vulnerabili. Per loro, questo patto sul clima è soprattutto una sconfitta.
Samantha Smith, capo della Global Climate and Energy Initiative del WWF, ha dichiarato: «I governi hanno accettato di mantenere il riscaldamento ben al di sotto dei 2 °C e mirano a limitare l’aumento della temperatura a 1.5 °C. Tutto ciò che faranno d’ora in poi deve essere misurato in relazione a questo obiettivo. I nostri leader dovranno garantire azioni sempre più decise in termini di mitigazione, adattamento e finanza. Questo è di vitale importanza».
Per Kumi Naidoo, direttore esecutivo di Greenpeace International, «la ruota dell’azione climatica gira lentamente, ma a Parigi ha girato. Questo accordo pone l’industria fossile dal lato sbagliato della storia».
Sierra Club, tramite il suo direttore, Michael Brune si è spinta oltre, con lodi sperticate per la «leadership di Obama» nel processo: «L’accordo di Parigi è un punto di svolta per l’umanità – ha esclamato Brune – Per la prima volta nella storia, la comunità globale ha accettato azioni che pongono le basi per aiutare a prevenire le peggiori conseguenze della crisi climatica, abbracciando l’opportunità di aumentare in modo esponenziale la nostra economia dell’energia pulita».
Meno entusiasta il giudizio di Bill McKibben, fondatore di 350.org: «Ogni governo sembra ora riconoscere che l’era dei combustibili fossili deve finire e presto. Ma il potere dell’industria si riflette nel testo, che allontana costì tanto la transizione da permettere infiniti danni climatici. Gli attivisti devono raddoppiare gli sforzi per indebolire questo settore».
Anche Elen Szoke, direttore esecutivo di Oxfam, vede il bicchiere mezzo vuoto: «Questo accordo offre una cima di salvezza sfilacciata alla popolazione mondiale più povera e vulnerabile. Vi è solo la vaga promessa di un futuro nuovo target per i finanziamenti climatici, mentre il testo non obbliga i Paesi a ridurre le emissioni abbastanza in fretta per prevenire una catastrofe climatica».
Asad Rehman, di Friends of the Earth, è caustico: «Al momento l’accordo di Parigi ci proietta verso un mondo con 3 °C in più. La revisione degli impegni è troppo debole e troppo lontana. Il numero politico indicato per la finanza non ha alcuna incidenza sulla scala del bisogno. È vuoto. La nave ha colpito l’iceberg e sta affondando, ma la band continua a suonare per suscitare gli applausi».